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La medicina ufficiale occidentale, per lungo tempo, ha avuto come modello biologico di riferimento un essere umano di circa 35 anni, del peso di 70 kg e di pelle bianca. E maschio. Un modello universale per la diagnostica e per la terapia che non corrisponde alla realtà di un’umanità fisicamente e psicologicamente variegata, dove a costituire altrettante varianti non sono soltanto età, peso ed etnia, ma anche il genere. Le differenze fisiologiche tra uomo e donne non si limitano alla sfera sessuale e riproduttiva, ma si incarnano in una relazione diversa con le patologie e le relative terapie. Cambiano la predisposizione a contrarre malattie, a subire ictus o infarti, a sviluppare tumori, nonché a produrre anticorpi. Cambia, meglio, dovrebbe cambiare, un approccio diagnostico e terapeutico “generalista” che non sempre è adeguato alle peculiarità femminili.
In più, per la fisiologia femminile esiste un giro di boa ben definito e studiato, la menopausa (85000 lavori scientifici pubblicati sul tema), mentre per il climaterio maschile o andropausa tempi, fasi e conseguenze sono meno definiti, anche perché decisamente meno studiati (650 lavori scientifici pubblicati).
Sono alcune delle considerazioni emerse nel corso del convegno “Medicina di genere. Perché è fondamentale per la nostra salute”, organizzato in videoconferenza dalla Consulta femminile della Città di Torino, presieduta da Silvana Ferratello. Intervenendo in rappresentanza della Città, la presidente della commissione Diritti e pari opportunità Cinzia Carlevaris, ha espresso il proprio appoggio alle finalità del convegno, definendo la promozione della medicina di genere – un concetto accolto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità già vent’anni fa – come una necessità non solo per la salute di tutti, donne e uomini, ma anche per il rispetto delle persone, l’equità e l’eguaglianza.
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Claudio Raffaelli