Sono abbastanza recenti gli echi delle polemiche esplose su libri di testo per la scuola primaria che contenevano pesanti stereotipi su bambini immigrati incapaci di esprimersi se non usando i verbi all’infinito o su ragazzine brutte al punto di non essere guardate da nessuno. Eppure, un libro di testo, prima di approdare sui banchi delle scuole, passa attraverso una filiera produttiva che si sviluppa nel corso di anni, dall’editore che ne decide la pubblicazione agli autori che ne scrivono i testi, dagli editor che li revisionano agli insegnanti che ne decidono l’adozione per le proprie classi. Ma nonostante questo, non sempre tra le mani dei nostri bambini si trovano prodotti editoriali esenti da quelli che sono ruderi di un modo di pensare, di un metro di valutazione delle altre persone e delle loro scelte, di una scala di (dis)valori che dovrebbero appartenere al passato. Ruderi i quali, però condizionano ancora fortemente la nostra contemporaneità e che il tentativo di autoregolamentazione tramite il codice POLITE (Pari opportunità nei libri di testo).
Proprio su questi temi si è sviluppata la riunione odierna, presieduta da Cinzia Carlevaris, delle commissioni Pari opportunità e Cultura. Alla riunione hanno partecipato, sui proposta del consigliere Francesco Tresso, il deputato Alessandro Fusacchia e la dottoressa Marzia Camarda. Fusacchia, insieme ad altri parlamentari ed alla stessa Camarda, ha redatto una proposta di legge (Misure per il contrasto agli stereotipi di genere e per la promozione della diversità e dell’inclusione nei testi scolastici) che sarà al vaglio della commissione Cultura della Camera dei Deputati nei primi mesi del prossimo anno.
Fusacchia e Camarda hanno chiarito che non si tratta di varare una legge che crei problemi agli editori, ma una legge che preveda bensì di coinvolgerli in un percorso virtuoso che raccolga tutta la filiera percorsa dal prodotto editoriale dall’ideazione al banco di scuola.
Un percorso che richiederà del tempo. I testi scolastici necessitano di un lungo periodo di tempo per la loro realizzazione, in media da due a quattro anni, ragion per cui dal momento in cui la legge, terminato il suo iter parlamentare, entrasse in vigore occorrerebbero quattro anni prima di poter contrassegnare i prodotti editoriali come esenti da stereotipi di genere o di altro tipo. Questo per non danneggiare processi industriali già avviati. Inoltre, il nucleo della proposta di legge si basa sulla partecipazione e sulla formazione, nell’ambito di quella che si profila più una battaglia culturale che un’iniziativa sanzionatoria.
Saranno necessarie la disponibilità e la convinta collaborazione degli editori, i primi ad essere interessati ad un prodotto di qualità adeguato ai tempi. Ma fondamentale risulteranno la mappatura e la formazione specifica delle migliaia di editor che curano ogni anno, ha spiegato Marzia Camarda, un milione e mezzo di pagine di testo. Spesso in condizioni lavorative precarie, tra l’altro, per cui favorire la loro emersione tramite questi percorsi formativi potrebbe tornare loro molto utile anche da questo punto di vista. Inoltre, rilevante sarà anche mappare livelli di consapevolezza sul problema da parte del corpo insegnante, al quale andrà offerta una formazione specifica. Perché il fatto che uno stereotipo venga ulteriormente tramandato è di per sé un fattore negativo nell’educazione delle nuove generazioni e nel percorso di crescita di una società che non può più permettersi di avere libri di testo nei quali, ad esempio, la mamma stira cantando mentre il papà, tornato dal lavoro, legge il giornale con la pipa in bocca, aspettando che la suddetta mamma prepari la cena. Contribuendo a perpetuare una concezione dei ruoli femminile e maschile che, semplicemente non esiste più. E sconfiggere lo stereotipo non riguarda solo la figura femminile e quella maschile, ma anche l’orientamento sessuale, l’etnia, le disabilità, l’aspetto fisico. Un terreno sul quale la stessa UNESCO, già alcuni anni fa, ha ritenuto di dover intervenire con alcune linee guida riprese dalla proposta di legge Fusacchia. Quest’ultima prevede anche la formazione di un Osservatorio indipendente che possa sia intervenire sulla base delle segnalazioni ricevute, sia avviare la progettazione di programmi pluriennali, partendo ad esempio dai sussidiari.
Per quanto riguarda la realtà torinese, il Consiglio comunale ha espresso analoghe sensibilità nelle scorse settimane, con l’approvazione di un documento per prevedere un’apposita formazione alle tematiche di genere nei confronti di tutto il personale che opera nel settore educativo dei nidi e delle scuole materne.
Claudio Raffaelli