Una persona che commette un atto di violenza dev’essere punita, ma anche aiutata a riflettere sui propri comportamenti, sulla rabbia, sulle problematiche relazionali. Per non parlare di chi questi atti di violenza non li ha ancora commessi, ma rischia di arrivarci in una spirale incontrollata di ira, risentimento, mancanza di strumenti culturali. Serve un aiuto, con modalità e strumenti diversi, dentro le mura del carcere così come fuori, in quelle situazioni classificate come “normali” sino al momento in cui esplodono con esiti talvolta drammatici. Il Centro studi e trattamento dell’agire violento, con l’appoggio della Città di Torino e dell’ufficio della Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, ha organizzato il convegno “Ripar-Azione. Etica e buona prassi nel trattamento degli autori di reato di violenza di genere”. L’incontro, svoltosi oggi nella Sala delle Colonne di Palazzo Civico è stato il luogo di un fitto scambio di esperienze tra molteplici realtà.
Istituzioni e associazioni che agiscono nel delicato contesto che comprende autori e vittime di violenze fisiche o psicologiche, punizione e psicoterapia, tutela dei minori – vittime o testimoni di violenze – e ribaltamento culturale degli schemi millenari che ispirano (male) le relazioni tra le persone di genere diverso. Sono intervenuti rappresentanti ai massimi livelli di Procura dei minori, Casa circondariale Lorusso e Cutugno, Ufficio penale di esecuzione Esterna (ministero della Giustizia), Associazione Cerchio degli Uomini, Servizi di psichiatria delle ASL e dello stesso Centro studi. Monica Cristina Gallo, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale per la Città di Torino, nel suo intervento di saluto ha riassunto le attività della sua struttura e sottolineato la necessità, nel campo delle attività in carcere, di confrontarsi con le differenze culturali, in un contesto che vede una quota di detenuti stranieri superiore al 50%.
Claudio Raffaelli