La fine di tutto, un nuovo inizio, lo strazio di chi resta, l’accettazione serena della chiusura di un ciclo naturale. Esiste l’anima immortale o di immortale c’è solo l’energia della materia che si trasforma? Paura di morire o angoscia per il dolore di chi ci sopravvive?
Un antico haiku giapponese recita più o meno così: “Il mio tetto è bruciato. Ora vedo le stelle”. Non a caso è stato citato dal monaco e tanatologo Guidalberto Bormolini, che è intervenuto in apertura dell’inaugurazione XIX edizione di Torino Spiritualità. La morte va intesa come parte integrante della vita, il dolore come punto di ripartenza e ricostruzione personale: e questo al di là di ogni visione religiosa o filosofica sull’esistenza o meno di un “dopo”. Quella svoltasi nel tardo pomeriggio di ieri nella sempre suggestiva chiesa barocca di San Filippo Neri, è stata un’inaugurazione di taglio molto particolare. Sessanta tavoli tondi, seicento persone di tutte le età, suddivise in gruppi di dieci il più possibile eterogenei, si sono trovate a parlare di tutto questo di fronte a tazze di caffè e piattini di biscotti. Tra i partecipanti, a rappresentare la Città di Torino, il consigliere Vincenzo Camarda, delegato all’evento da parte del sindaco, che al tavolo contrassegnato dal numero 23 ha dialogato a lungo con i presenti.
Ai tavoli, non necessariamente sono risuonate disquisizioni filosofiche o professioni di fede, né pubbliche confessioni di stati d’animo, talvolta vi sono stati racconti semplici ( ma difficili da tirar fuori) di affetti spezzati, di ricostruzioni interiori, di riscoperta tardiva di legami profondi ma non coltivati a sufficienza. Il tutto nello spirito dei Death Café anglosassoni. Momenti intensi, formativi – a facilitare e guidare ogni gruppo vi erano persone appositamente preparate – con ampio spazio a emotività non solo negative; non è stato rare vedere sorrisi e addirittura sentir risuonare risate argentine.
E in quel paio d’ore, sicuramente, tante assenze sono tornate a essere presenze, perché come scriveva Antonio Gramsci dal carcere, alla sua anziana madre (già morta ma lui ancora lo ignorava), siamo immortali finché il nostro ricordo vive negli altri.
Claudio Raffaelli