Trent’anni fa, si insediava a Palazzo Civico il primo sindaco eletto direttamente dai cittadini. La novità era stata introdotta pochi mesi prima, con la legge n. 81 del 25 marzo 1993 – tutt’ora in vigore – che aveva completamente stravolto il precedente assetto istituzionale degli enti locali.
Fin dal secondo dopoguerra, la legge aveva previsto che gli elettori scegliessero i componenti del Consiglio comunale, votandoli sulla base di liste di partito o movimento. I consiglieri, una volta insediati, avrebbero scelto tra le loro stesse fila il nuovo sindaco e gli assessori, sulla base di accordi politici tra i partiti che avrebbero costituito la maggioranza. Il sindaco poteva poi dimettersi – per ragioni personali oppure politiche – o essere sfiduciato dalla sua stessa maggioranza: a quel punto, il Consiglio comunale ne nominava un altro in base agli accordi tra le forze politiche (ma in mancanza di un accordo si andava a nuove elezioni dopo un periodo di commissariamento prefettizio).
La legge del 1993, a questo proposito, aveva introdotto una seconda, grossa novità: il venir meno del sindaco eletto a suffragio diretto (per dimissioni, decesso o decadenza) comportava automaticamente lo scioglimento del Consiglio comunale e lo svolgimento di nuove elezioni.
Appare evidente come il nuovo ordinamento volesse conferire una nuova centralità dei sindaci, sia con la loro elezione diretta da parte dei cittadini, sia con il vincolare la durata del mandato amministrativo al loro restare in carica per i quattro anni previsti (successivamente riportati a cinque). Altro aspetto rilevante della legge elettorale, limitato ai Comuni con più di 15mila abitanti, il ballottaggio tra i due candidati meglio piazzati nel caso che nessun candidato di partiti o coalizioni avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei voti espressi.
C’era poi un complesso calcolo dei consiglieri eletti da attribuire alle singole liste, da effettuare in relazione a quanto ottenuto dal loro candidato e da quello vincente, con un premio di maggioranza a chi aveva sostenuto quest’ultimo. Ragion per cui, la rappresentanza in aula dei partiti poteva risultare non proporzionale alle percentuali di voto da essi ottenute. Oltre tutto, la nuova legge introduceva la possibilità per l’elettore o elettrice di votare solo la persona candidata a sindaco senza necessariamente scegliere anche una lista di partito. Infine, al sindaco era attribuita la scelta dei propri assessori, anche al di fuori dell’ambito degli eletti in Consiglio comunale.
Nel giugno del 1993, a Torino, con queste nuove modalità veniva eletto Valentino Castellani, con un ballottaggio che lo vedeva contrapposto a Diego Novelli (già primo cittadino fra il 1975 e il 1985). Quest’ultimo, al primo turno, era risultato il candidato sindaco più votato con il 36.01% dei voti, mentre Castellani si era attestato al 20.27%. Ma il meccanismo del ballottaggio previsto dalla legge consisteva proprio in questo, nel dare la possibilità ai singoli elettori di effettuare un’ulteriore e definitiva scelta ed eventualmente alle forze politiche di intessere ulteriori accordi (nel corso dei decenni ci sarebbero stati in varie città, anche a Torino, casi di coalizioni “allargatesi” fra primo e secondo turno di votazione).
Il ballottaggio del 20 giugno 1993 fra Castellani e Novelli era infine stato vinto dal primo, con il 57.30 dei suffragi contro il 42.70% andato all’avversario.
E il Consiglio comunale? La nuova legge elettorale aveva anche ridotto il numero dei componenti delle assemblee elettive: per Torino, gli ottanta seggi attribuiti fin dal 1946, ma anche prima dell’avvento del fascismo, erano stati ridotti a cinquanta (più il sindaco); in occasione delle amministrative del 2011 sarebbero poi scesi agli attuali quaranta, 41 con il sindaco. Nel 1993, in ogni caso, il voto della cittadinanza aveva disegnato una Sala Rossa caratterizzata da denominazioni politiche poi in gran parte scomparse o modificatesi nel tempo. A sostenere il sindaco Castellani, 14 consiglieri e consigliere del Partito Democratico della Sinistra, 10 di Alleanza per Torino, 6 dei Verdi Sole che Ride.
Sui banchi delle opposizioni, 7 rappresentanti alla Lega Nord Piemont (che aveva presentato un proprio candidato sindaco, Domenico Comino, risultato in terza posizione), 8 per le liste che avevano sostenuto Novelli (4 Rifondazione Comunista, 3 La Rete, 1 Alleanza Verde), 4 per i partiti che avevano appoggiato la candidatura di Giovanni Zanetti (3 Democrazia Cristiana, 1 Torino Liberale) e 1 per il Movimento Sociale Italiano, il cui candidato sindaco era stato Ugo Martinat.
Per concludere, va sottolineato come la legge elettorale del marzo 1993 avesse portato, per i Consigli comunali, un’ulteriore e rilevante novità. Non sarebbe più stato il sindaco stesso a convocare e presiedere le loro riunioni, ma un presidente, eletto dai Consigli stessi nel novero dei loro componenti. Il primo presidente della Sala Rossa fu scelto nella persona di Domenico Carpanini. Divenuto vicesindaco nel mandato successivo, sarebbe poi prematuramente scomparso nel corso della campagna elettorale del 2001, da candidato sindaco della coalizione di centrosinistra.
( Claudio Raffaelli )