La presentazione del libro di Matteo Spicuglia “Noi due siamo uno”, ispirato dal diario di Andrea Soldi, deceduto durante l’esecuzione di un trattamento sanitario obbligatorio (TSO), è stata anche l’occasione per un confronto sullo stato attuale della psichiatria. Andrea morì in conseguenza di procedure improprie adottate nel corso del TSO, il 5 agosto del 2015: tre agenti della Polizia Municipale e un medico psichiatra sono stati condannati in primo grado e poi in appello. A breve ci sarà la sentenza definitiva, in Cassazione.
Durante l’incontro in piazza Umbria, organizzato (nel quadro dei Salone Off del Salone Internazionale del Libro) dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà, Monica Cristina Gallo, si sono succeduti vari interventi e testimonianze.
La sorella di Andrea, Cristina, ha ribadito quanto il fratello non fosse mai stato pericoloso, pur se affetto da disturbi mentali, per cui la misura della forza impiegata durante il tso era ingiustificata. E del resto, è lo stesso strumento del TSO che andrebbe limitato nei numeri, con un personale addetto meglio preparato nel valutare e gestire le situazioni. Anche partendo da questa considerazione, Annibale Crosignani, psichiatra ottantanovenne che conobbe casualmente Andrea poco prima della tragedia, ha espresso un’appassionata denuncia nei confronti di gran parte della psichiatria attuale, definita prodiga di farmaci, poco presente sul territorio e scarsa di attenzione alla persona sofferente. All’incontro hanno preso parte anche il presidente della Circoscrizione 4 e un senatore torinese.
Quello lasciato da Andrea, è stato sottolineato, è un ricordo di amore – numerosi gli aneddoti toccanti raccontati da Cristina Soldi – e di sofferenza. Una sofferenza che andava compresa e curata, non temuta, legata, repressa. Un monito su come il principio costituzionale della tutela della salute rischi spesso di restare lettera morta.