Raccogliere idee e proposte sul tema dell’occupazione femminile e sulle modalità per conciliare e condividere tempi di vita e di lavoro.
È stato l’obiettivo raggiunto dal convegno del 24 marzo 2021 organizzato dalla Consulta Femminile Comunale di Torino – CFC e moderato dalla giornalista Filomena Greco.
Ha aperto i lavori la presidente della Commissione comunale Diritti e pari opportunità Cinzia Carlevaris, che ha rimarcato come le donne siano ancora discriminate nel mondo del lavoro, soprattutto in questo momento di difficoltà economica: “La maggior parte dei posti di lavoro persi durante la pandemia riguardano le donne: è una vergogna!”. Il Recovery Fund è però un’occasione di cambiamento – ha aggiunto – per sostenere la parità di genere con investimenti nelle politiche attive del lavoro, in particolare per i servizi. Torino può guidare questo cambiamento – ha concluso – per generare impatti di lungo periodo sul territorio.
La Città deve compiere ancora molti passi sulla parità di genere – ha dichiarato l’assessore ai Diritti Marco Giusta – anche per quanto riguarda lo smart working delle donne.
Il gruppo di lavoro della Consulta su donne e lavoro – ha spiegato la presidente della Consulta Silvana Ferratello – si è concentrato sulla discriminazione di genere in ambito lavorativo, in particolare per quanto riguarda retribuzione, disparità salariale e carenza di servizi. Dovrebbero – ha spiegato – essere aumentati i posti negli asili nido ed estesi gli orari, incrementati i congedi parentali, con copertura almeno fino al 50% della retribuzione, e rafforzati i servizi di assistenza ad anziani e persone con disabilità e fragili.
Sin dalla sua costituzione nel 1978, la Consulta si è sempre occupata di tematiche femminili, promuovendo ad esempio la Prevenzione Serena per lo screening dei tumori – ha ricordato la vicepresidente Maria Vittoria Colli. Ampia attenzione è stata dedicata anche alla violenza sulle donne, inaugurando un giardino dedicato alle vittime di femminicidio e una “panchina rossa”.
L’Italia è però ancora molto indietro sulle tematiche di genere: è quattordicesima nell’indice europeo sull’uguaglianza di genere Eige – ha spiegato la sociologa Chiara Saraceno. Il nostro Paese è indietro nei tassi di occupazione femminile e nell’accesso ai livelli più alti delle carriere. E quasi una donna su quattro lascia il lavoro quando nasce un figlio. È inoltre molto bassa la percentuale di donne che lavorano nel campo scientifico. In Italia – ha affermato – la maternità è un vincolo per la partecipazione al mercato del lavoro.
Il carico familiare è ancora troppo spesso soltanto sulle spalle delle donne – ha chiarito la docente universitaria Silvia Barbara Pasqua. In Italia – ha aggiunto – questa “rivoluzione” non si è mai compiuta. Inoltre, le donne guadagnano in media il 30% in meno rispetto ai colleghi maschi.
Dobbiamo favorire le politiche di conciliazione per l’ingresso e la permanenza nel mercato del lavoro – ha affermato Elena Petrosino, a nome di Cgil, Cisl e Uil – ma non è sufficiente se le responsabilità familiari non vengono equamente ripartite e se non vengono incrementati i servizi all’infanzia. Anche i carichi di lavoro sono sbilanciati: la media giornaliera delle ore lavorate dalle donne è maggiore rispetto a quella degli uomini (80 minuti in più al giorno). E la pandemia di Covid-19 sta accentuando le disuguaglianze strutturali. Devono essere incrementare le retribuzioni nei contratti collettivi nazionali e aziendali e – ha concluso – dalle politiche di conciliazione bisogna passare alle politiche di condivisione.
Occorre una maggiore responsabilità sociale d’impresa – ha detto Silvia Maria Ramasso, titolare di un’impresa editoriale e vicepresidente Apid – per aumentare il benessere delle lavoratrici nelle imprese e negli ambienti di vita, anche per quanto riguarda le lavoratrici autonome (due milioni in Italia).
Ha concluso l’incontro l’europarlamentare Alessandra Moretti, che ha evidenziato come il “fare famiglia” in Italia purtroppo sia ancora un rischio altissimo per la carriera lavorativa delle donne: le infrastrutture sono poco accessibili, ancor di più durante l’emergenza Covid.
Massimiliano Quirico