La Prima Guerra Mondiale – la Grande Guerra come la si chiamò allora non immaginando che il peggio sarebbe venuto vent’anni dopo – vide 66.000.000 di europei infilati in uniformi diverse e spediti nei mattatoi: Carso, Galizia, Somme, Gallipoli e tanti altri. Uomini – tra loro anche ragazzi appena diciottenni – strappati non solo alle loro famiglie ma anche ai loro posti di lavoro, in fabbrica o in ufficio, nei vigneti o sui pascoli.
Un esercito in divisa i cui vuoti furono riempiti dalle donne che in questo essere catapultate nel mondo del lavoro trovarono una nuova coscienza collettiva. Questo avvenne anche in Italia, dove il lavoro femminile dovette colmare i vuoti produttivi lasciati da 6 milioni si richiamati alle armi (in un Paese di neppure quaranta milioni di abitanti!): 180.000 le donne assorbite dalla sola industria bellica. Soldi pochi, diritti niente, fatica tanta, fino a 13 ore al giorno per sette giorni alla settimana nelle aziende militarizzate per concorrere allo sforzo per vincere una guerra che gran parte delle donne, soprattutto quelle appartenenti alla classe lavoratrice delle città e delle campagne, avevano avversato anche nelle piazze.
Un protagonismo, il loro, che si sarebbe accresciuto, nonostante la pausa imposta dal fascismo che tentò di ricacciare le donne in casa e nelle sale parto, fino alla loro partecipazione alla Resistenza, fino al diritto di voto nel 1946 e poi avanti ancora, in un percorso ancora oggi non concluso.
Il convegno Il ruolo delle donne nella Grande Guerra, organizzato dall’Associazione ex consiglieri emeriti della Città di Torino, presieduta da Giancarlo Quagliotti ha esaminato questa tappa così fondamentale nella nostra storia. Due corpose relazioni sono state svolte dalla professoressa Concetta Cirigliano Perna e dalla scrittrice Bruna Bertolo. Sono intervenuti anche il tesoriere dell’associazione Giuseppe Gallicchio e la vicepresidente del Consiglio comunale Viviana Ferrero
Claudio Raffaelli