La residenza fittizia “via della Casa comunale”, attribuita anagraficamente alle persone senza fissa e regolare dimora, garantisce l’esercizio del diritto all’assistenza medica e sociale, ivi comprese le scelte di medico di famiglia e pediatra. I timori che questa indicazione di residenza possa rappresentare una stigmatizzazione al punto di veder messe in discussione le proprie capacità genitoriali da parte della Procura dei minori sono infondati, poiché essa interviene solo su circostanziate segnalazioni, di maltrattamento o di altra grave situazione. L’assessora Sonia Schellino ha voluto chiarire questi aspetti nel corso di una riunione delle commissioni Servizi sociali e Pari opportunità, presieduta da Antonino Iaria, convocata per una verifica dell’attuazione di una mozione (prima firmataria, Eleonora Artesio) approvata dal Consiglio comunale nella primavera dell0 scorso anno. Il documento impegnava l’amministrazione comunale a promuovere la garanzia di accesso ai servizi sanitari per le persone in condizioni di emergenza abitativa, ivi compresi gli occupanti abusivi – a seguito di sfratto – di alloggi sfitti. Questo, non solo nello spirito di un principio costituzionale, che riconosce il diritto alla tutela della salute ad ogni essere umano e non soltanto a cittadini o residenti, ma anche a salvaguardia della salute pubblica. Nel corso della riunione, è stato richiamato come la legge (“decreto Lupi”) non consenta ai Comuni di riconoscere ufficialmente come residenza un immobile occupato senza titolo, un problema sul quale la consigliera Maura Paoli ha chiesto di avviare una riflessione. Allo stesso modo, Schellino, rispondendo a un problema sollevato dalla consigliera Elide Tisi, ha ricordato come si attenda un’interpretazione autentica, da parte ministeriale, rispetto alle modalità di accesso ai servizi sanitari, da parte degli immigrati rimasti senza protezione umanitaria in seguito ai recenti provvedimenti del governo.
Claudio Raffaelli