La presidente dell’Ascom Torino snocciola cifre con la metodicità di un ufficiale prussiano che legge un elenco delle perdite subite in battaglia. Ed effettivamente, perdite sono, anche se non di vite umane. Il piccolo e medio commercio di Torino, già da anni alle prese con una pesante crisi, sta subendo in questi giorno il pesante contraccolpo dell’emergenza sanitaria. Se nel periodo precedente il settore food sembrava reggere meglio – mentre ad esempio edicole e librerie rappresentavano la punta avanzata della crisi – gli ultimi dieci giorni hanno messo un netto segno negativo anche ai suoi conti.
I dati di Ascom presentati oggi alla III commissione consiliare, nel corso di una riunione alla quale ha partecipato anche Confesercenti, sono stati messi a punto alcuni giorni fa, per cui, avvertono i rappresentanti dei commercianti torinesi, fotografano una situazione che da allora è già peggiorata.
L’elenco è lungo, e nella Sala dell’Orologio di Palazzo Civico, dove si svolge l’incontro, sembra quasi di respirarlo l’odore della crisi. Il settore del turismo, da tempo individuato come uno dei pilastri dell’economia torinese, mostra cifre da paura: al 23 febbraio, 90% di disdette negli alberghi e 75% nelle altre strutture ricettive, 80% di calo per quanto riguarda l’utilizzo delle guide turistiche.
Ristoranti e bar, -30%, con un calo ancora più consistente in alcune zone, come quelle intorno agli atenei, chiusi a fronte della minaccia virale. Nei mercati rionali, i banchi alimentari hanno perso il 50% del fatturato, un calo che ha toccato il 70% per gli altri banchi. Il bollettino dal fronte continua con altri dati negativi: taxisti -50%, benzinai -50%, fiorai -30%, organizzazione di eventi -100%, scuole private -80%…
In controtendenza le farmacie, che segnano un +20%, forse meno di quanto si sarebbe portati ad immaginare, e soprattutto la grande distribuzione, con un saldo positivo che arriva al +30%, la cui massiccia frequentazione – notano i rappresentanti degli esercenti – non è stata oggetto di restrizioni a scopo sanitario.
In un contesto già segnato dalle difficoltà del commercio al dettaglio, un eventuale aggravamento o il semplice protrarsi di questa situazione emergenziale potrebbe suonare la campana a morto per numerose attività, colpendo non soltanto i titolari ma anche i loro dipendenti, oltre alle rispettive famiglie.
Stretti tra le necessarie restrizioni e precauzioni da un lato e allarmismi irrazionali dall’altro, i commercianti torinesi sono tuttavia consci di quanto sia delicata la situazione in città e nell’insieme del Paese, e si dicono pronti a fare la loro parte. Chiedono tuttavia un aiuto per poter andare avanti, evitando una crisi irreversibile che svuoterebbe le nostre vie, rendendole tristi e insicure.
Fanno appello ai torinesi affinché si orientino al consumo sotto casa, ma soprattutto alle istituzioni per ricevere un sostegno in questo momento di difficoltà. Servono interventi a livello nazionale, come il congelamento del pagamento di tributi e mutui o l’estensione della cassa integrazione in deroga anche alle piccole imprese commerciali. Al Comune, che già ha disposto il differimento del pagamento della Tassa rifiuti (TARI) e sta valutando la possibilità di ulteriori iniziative, i commercianti chiedono anche di studiare forme di comunicazione congiunta, che contrasti le psicosi pur senza indurre a sottovalutare i rischi realmente esistenti.
Sullo sfondo del dibattito, i profondi cambiamenti epocali che già da tempo si stanno sviluppando nel mondo del commercio, con la necessità di riportare l’attenzione sul tessuto economico locale e sugli esercizi commerciali di prossimità, a fronte della tenaglia rappresentata da grande distribuzione da un lato e piattaforme globali di e-commerce dall’altro.
Claudio Raffaelli