Antonio Pedio era agli ultimi giorni di lavoro come guardia giurata, in attesa di ritornare nel suo Salento per iniziare una nuova attività. Quando con lui e il suo collega Sebastiano D’Alleo videro irrompere nella filiale del Banco di Napoli, in via Domodossola – nella quale i due svolgevano il turno di guardia – un gruppo di persone armate, non ebbero il tempo di reagire. Entrambi vennero disarmati e costretti a stendersi a terra. Era il 21 ottobre del 1982, e i rapinatori non erano semplici banditi, ma un gruppo di terroristi delle Brigate Rosse – Partito della Guerriglia, una delle ultime schegge di un terrorismo ormai sconfitto e con i principali capi rinchiusi in carcere.
Le due guardie giurate, di 26 e 27 anni d’età, vennero trucidate a colpi di pistola, ancora stese faccia a terra, quando il commando stava ormai per fuggire con il bottino. Un’esecuzione inutilmente feroce, persino per gli orrendi standard terroristici, a puro scopo di propaganda e di intimidazione. Il colpo di coda sanguinoso di una follia politico-militare ormai in disgregazione ma ancora in grado di affermare la sua esistenza con il sangue di due giovani lavoratori. La Città di Torino, d’intesa con l’AIVITER (Associazione Italiana Vittime del Terrorismo) ha oggi voluto ricordare i due giovani collocando una targa proprio sul luogo del loro brutale assassinio.
Nel corso dell’iniziativa, alla quale hanno preso parte numerosi familiari delle vittime e abitanti del quartiere, sono intervenuti il presidente del Consiglio comunale, Francesco Sicari, il presidente della Circoscrizione 4, Claudio Cerrato, il presidente dell’AIVITER, Roberto Della Rocca e Cristina Porrati, preside della scuola secondaria SS. Natale, che ha ospitato la cerimonia prima dello scoprimento della targa. Anche Pino Pedio, fratello di Antonio, ha reso una commovente testimonianza di quei fatti.
Il presidente Sicari, nell’intervento che ha aperto la cerimonia, ha sottolineato come Torino sia stata “una delle città dove il terrorismo ha colpito più frequentemente e con maggior brutalità”. Rievocando quelli ormai passati alla storia come “gli anni di piombo”, Sicari ha messo in evidenza come “l’intera società si fosse opposta a coloro che, facendosi scudo di un’ideologia mal rimasticata, assassinavano persone indifese sotto casa o alla fermata del bus. Senza la mobilitazione di ampi strati della società, il movimento operaio, i giovani, gli intellettuali” ha aggiunto il presidente della Sala Rossa “non sarebbe stato possibile per la Repubblica sconfiggere i terroristi, ed al tempo stesso evitare di cadere nella trappola di tentazioni autoritarie”.
Concludendo il suo intervento, Sicari ha evidenziato come la dialettica politica possa essere anche durissima, perché è il sale della democrazia; ma al tempo stesso, ha spiegato, “massima dev’essere la capacità di unire le forze per la difesa di quelle istituzioni repubblicane e democratiche, nate dalla Resistenza, che non devono mai essere considerate come definitivamente acquisite. Ogni volta che la democrazia si trovasse ad essere minacciata, le donne e gli uomini che amano la libertà propria come parte della libertà di tutti, dovranno essere capaci di unire le forze al di là di ogni divisione ideologica. Senza fingersi uguali, coltivando e rispettando le reciproche differenze, ma respingendo insieme”, ha terminato il presidente Sicari, “ogni tentativo di sovvertire quelle che andranno magari anche migliorate, ma restano le nostre istituzioni democratiche”.
Claudio Raffaelli