La consapevolezza di sentire l’appartenenza ad un genere diverso, rispetto a quello indicato sui documenti, dovrebbe determinare la possibilità, finalmente, di affrontare in modo sereno la propria vita.
Così, purtroppo, non è. E’ tortuoso il percorso di mesi, ma spesso di anni, durante il quale le persone in transizione, in gran parte giovani, vivono con grande sofferenza i tempi lunghi per carenze strutturali e burocrazia.
Il grido di preoccupazione lo hanno lanciato questa mattina, nel corso della riunione della commissione Diritti e Pari opportunità, alcuni rappresentanti delle associazioni Agedo (Associazione Genitori di ragazzi lgbtq+), Comitato Sei Trans*, Spo.T (Sportello Trans Maurice Torino) e Coordinamento Torino Pride.
Un grido che diventa di allarme, considerato quanto questo periodo abbia risvolti negativi sulla vita della persona tali, in casi estremi, da condurla a tentativi di suicidio.
Perchè ciò avviene? Acquisita la consapevolezza di avere necessità di un sostegno, occorre rivolgersi al Cidigem – Centro Interdipartimentale Disturbi Identità di Genere). Il percorso, già di per sé sofferente, diventa ancora più complesso per i tempi di attesa. Lunga l’attesa per essere inseriti in lista, lunga l’attesa del primo incontro con psicologi, psichiatri ed endocrinologi, sempre maggiori difficoltà per avere farmaci che garantiscano terapie ormonali. Il Centro è una struttura di eccellenza, viene sottolineato, costituito da persone “alleate”, ma manca personale a fronte di migliaia di richieste provenienti da tutta la Regione e, in alcuni casi, anche da fuori.
Terminato l’iter “sanitario” (ragazze e ragazzi in transizione non sono malati, non scelgono il cambio di genere ma sono così dalla nascita, è stato evidenziato) ha inizio il percorso, altrettanto tormentato, con il Tribunale, per il cambio del nome sui documenti, che secondo gli ospiti della commissione, non considera queste necessità tra le priorità.
Amaro il commento di Cristina Cutrera di Agedo: “Per le ragazze e i ragazzi si tratta di una necessità vitale. Non sono persone di serie B, meritano gli stessi diritti di tutti gli altri. Siamo in una situazione di vero allarme, occorrono tempi umani. Una società che discrimina è una società nella quale nessuno vuole vivere. I ragazzi sono disperati abbiamo bisogno di essere ascoltati”.
Cosa può fare la Città? Intanto, ha sottolineato l’assessore alle Politiche sociali, la rete di relazioni tra associazioni e Comune ha posto il tema all’attenzione pubblica. La Città, ha evidenziato, può sensibilizzare tutti quei contesti nei quali sia possibile dar vita ad una “carriera alias”, come nella scuola, dove è possibile dar vita ad una procedura che consenta agli studenti trangender di cambiare nome a scuola e all’università, utilizzando il nome elettivo, nell’attesa che il tribunale autorizzi, con una sentenza, il cambio del nome anagrafico sui documenti ufficiali. Questo, ha sottolineato l’assessore, è un primo passo per creare contesti migliori e ridurre il disagio di ragazze e ragazzi aggiungendo la necessità di avviare un dialogo con il tribunale perché possa avviare il percorso di transizione anziché appesantirlo.
Federico D’Agostino