Agire sulla prevenzione verso la devianza giovanile ma riflettere anche su come investire sugli adulti e su quali siano gli ambiti nei quali ci si possa confrontare perché siano affrontate situazioni di crescita problematiche.
E’ quanto è emerso nella riunione della commissione Legalità, presieduta da Luca Pidello, e che ha ospitato, tra gli altri, il professore Franco Prina, docente di Sociologia giuridica, della devianza e mutazione sociale presso l’Università di Torino che ha analizzato il fenomeno delle cosiddette “baby gang”, una definizione considerata impropria, a Torino e nel nostro Paese, soprattutto se rapportate alle bande criminali strutturate composte da adolescenti negli Stati Uniti o in America latina.
Ed è una definizione che non accettano nemmeno i ragazzi detenuti nella casa circondariale “Lorusso e Cutugno” che hanno voluto scrivere una lettera alla politica torinese, illustrata proprio durante la riunione di Commissione, nella quale si soffermano sul linguaggio utilizzato dai media per descrivere i reati commessi. Una lettera che rientra nel progetto “Lettere dal carcere”, finanziato dall’Ufficio della Garante per i Diritti dei deteniti, Maria Cristina Gallo.
Prendono spunto dalle parole utilizzate per descrivere l’assalto ai negozi di via Roma del 2020 (nei quali non sono stati coinvolti). Non sono “bande etniche”, come è stato scritto, ma sono ragazzi nati a Torino, gli autori dei reati. Affermano di non essere disposti ad essere considerati i figli peggiori delle periferie, descritte come “luoghi degradati e violenti i cui abitanti si dividono tra poveri ignoranti e incalliti criminali”.
Rilevano come il primo atto di esclusione sociale sia proprio il linguaggio di giornali e tv e come si continui con la mancata applicazione delle misure alternative alla detenzione, senza trascurare il rispetto della privacy, con i nomi e i cognomi dei giovanissimi arrestati spesso pubblicati.
Ci sono progetti della Città dedicati alla devianza giovanile, spiega l’assessora all’Istruzione Carlotta Salerno, ma nello stesso tempo evidenzia anche come un’attività di educativa di strada, oggi, sia molto in difficoltà nell’intercettare i giovani che non si aggregano tanto in un giardino o all’angolo di un avia, ma sui social, i centri commerciali o luoghi chiusi.
E’ necessario cogliere i messaggi che arrivano dagli atteggiamenti deviati dei giovani, ha evidenziato Prina. Occorre mettere educatori e psicologi a disposizione di un progetto della Città, lanciando un progetto sulle aggregazioni giovanili problematiche, intercettandole nel momento in cui si formano, dando così anche un messaggio di rassicurazione che va nella direzione di rispondere al sentimento della sicurezza.
Ma nello stesso tempo occorre prendersi cura delle fragilità degli adulti che svolgono una funzione educativa, genitori e insegnanti, perché c’è la necessità che coloro che hanno a che fare con l’educazione di adolescenti trovino ascolto perché ragazzi che non hanno regole interiorizzate, non sono stati a contatto con adulti che gliele hanno trasmesse.
Federico D’Agostino