La discriminazione di genere ha molti volti, e uno di questi è quello del salario. Nei Paesi dell’Unione Europea, la retribuzione oraria delle donne è di circa il 16% inferiore rispetto a quella dei maschi. La situazione nello Stivale sembrerebbe migliore (la disparità scende a una media del 5%) ma ha come contraltare la percentuale di donne con un impiego che si aggira soltanto intorno al 50%. Eppure, il gap di genere, nel campo dell’istruzione, è favorevole alle donne: si laureano più degli uomini e, come se non bastasse, con votazione di laurea mediamente più alta di diversi punti. In Italia, nel 2015, si sono laureate (laurea magistrale) circa 76.800 persone, delle quali quasi 44500 donne. A Torino, nello stesso anno, l’Università ha contato 2176 donne su 3594 laureati, mentre al Politecnico erano state donne 933 dei 2089 laureati. In totale, 3109 neolaureate a fronte di 2574 neolaureati.
Un capitale di competenze al femminile enorme. Da questi dati ha preso avvio la riunione congiunta delle commissioni Pari Opportunità, Lavoro e Cultura, presieduta da Marina Pollicino, nel corso della quale i docenti universitari Simona Alfiero, Valter Cantino e Maria Cristina Rossi hanno relazionato sul tema “Donne, istruzione e mercato del lavoro. Uno sguardo alla realtà produttiva torinese”. Le relazioni svolte dai docenti hanno preso in esame il segmento di lavoro femminile relativo alle posizioni apicali, che comportano il possesso di un titolo di studio universitario. Dallo studio, a tre anni dalle sessioni di laurea del 2015, delle posizioni lavorative raggiunte, risulta come, pur scattando dagli stessi blocchi di partenza al termine del loro percorso formativo, le donne sembrino dover correre lungo un percorso più tortuoso rispetto a quello dei loro colleghi maschi. Al di là delle differenze retributive, che si confermano esistere ad ogni livello, una donna impiega mediamente due anni in più nel raggiungimento di posizioni apicali, e se in Europa le donne ricoprono il 29% delle posizioni manageriali, in Italia la percentuale è ancora più ridotta, aggirandosi intorno al 24%.
In sostanza, i dati mostrano come le competenze femminili restino sottovalutate e come il tanto mitizzato “merito” non venga considerato al netto del genere di appartenenza. I dati presentati in commissione hanno fotografato la situazione delle 252 principali aziende di Torino e provincia. Sul totale di 1060 componenti dei vari consigli d’amministrazione le donne sono il 18% e solo in 25 presiedono il cda, mentre a rivestire la carica di amministratore unico sono in 4 (il 25%). Nelle società quotate in borsa la percentuale femminile nei cda oltrepassa il 30%, ma in virtù della legge Golfo-Mosca che impone quote di genere. Molto diversificata appare la presenza apicale femminile nei consigli d’amministrazione delle aziende a seconda dei settori di attività, con un picco per software e costruzioni, 33%, mentre la quota scende al 17% per il food fino al 5% nel comparto viaggi e tempo libero.
Del resto, sono molte le aziende (135 su 252) che nel loro board gestionale non hanno neppure una donna: l’80% nel comparto viaggi e tempo libero, il 69% nel settore automotive. Indicativo appare il fatto che le donne siano maggiormente presenti nei board aziendali più numerosi, così come offre spunti di riflessione il fatto che negli organi di controllo (collegio dei sindaci) l’assenza di componenti di genere femminile sia più ridotta rispetto a quella degli organi gestionali (cda), riguardando “solo” 89 aziende su 252.
Claudio Raffaelli