Cospirazione. E’ questa la parola usata dall’avvocato della famiglia Caccia, Gaetato Repici per descrivere l’omicidio del Procuratore della Repubblica di Torino, Bruno Caccia, avvenuto 37 anni fa.
Lo ha affermato nel corso della riunione della commissione Legalità e contrasto ai fenomeni mafiosi, presieduta da Carlotta Tevere.
Un delitto, che il legale ha paragonato a quello di Kennedy, del quale non si conoscono ancora le ragioni, i nomi di tutti i killer e di tutti i mandanti, al di là delle due condanne relative a due persone facenti parte di un piccolo gruppo criminale e che ha avuto “contributi plurimi”.
Troppe le lacune, troppe le domande che non hanno avuto risposte. Perchè non sono mai stati ascoltati dalla magistratura i colleghi di Bruno Caccia? Perchè non sono mai stati ascoltati i familiari?
E poi ancora la constatazione di procedure che rallentano, fascicoli processuali connessi con l’attività di Caccia concessi a fatica, come i faldoni sull’inchiesta del 1982 sul Casinò di Saint Vincent, nella quale compaiono nomi e filoni di indagini relativi ai tentativi mafiosi di infiltrarsi nell’attività dei casinò italiani. Solo 4 fascicoli su 99 sono stati consegnati.
A parte la presa di posizione di Gian Carlo Caselli, che invitò, nel 2013 in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario, a ricercare in tutti i modi la verità sul delitto di Bruno Caccia, il distretto giudiziario torinese non dimostrò particolare sensibilità, ha sottolineato ancora Repici.
Caccia, come più volte rimarcato, fu l’unico Procuratore della Repubblica ucciso da organizzazioni criminali fuori dalla Sicilia, l’unico sul quale non indagò la polizia giudiziaria ma il Sisde, avvalendosi di un mafioso, Francesco Miano. L’intervento del Sisde, per la strage di via d’Amelio, in Sicilia, venne considerato depistaggio, mentre a Torino l’autorità giudiziaria lo ha rivendicato pubblicamente, ha evidenziato l’avvocato.
Cosa può fare la politica? E’ la domanda rivolta dai consiglieri, perché, come sostengono i figli di Bruno Caccia, Guido, Paola e Cristina, presenti in videoconferenza in Commissione, non ci si limiti alle commemorazioni ma si possa ricercare la verità.
Due le suggestioni che in qualche modo emergono: da un lato, in generale, la necessità che in Italia tutti i fascicoli processuali vengano digitalizzati affinché siano facilmente accessibili e consentano di mettere in relazione in modo agevole fatti e persone. La spesa, ha evidenziato Repici, si aggirerebbe sui dieci milioni. Nel caso specifico, invece, l’ipotesi, condivisa dalla stessa presidente della Commissione, Tevere, nel coinvolgere la Commissione Nazionale Antimafia perché possa approfondire, non solo ascoltando i familiari, alcuni degli aspetti che ancora non fanno chiarezza su un omicidio che ha avuto rilevanza nazionale.
Federico D’Agostino