Sala Rossa vuota, eccezion fatta per gli oratori, con trasmissione in streaming sui canali web della Città di Torino: così è stato celebrato oggi il Giorno della Memoria in questo contesto segnato dalla pandemia, ma non per questo il ricordo delle vittime dei campi di sterminio nazisti è risultato meno solenne e toccante. Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria perché propria in quella data, nel 1945, i soldati sovietici che combattendo si aprivano la strada verso Berlino, attraverso le pianure polacche gelate, entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz. L’orrore dello sterminio sistematico degli ebrei europei si apriva agli occhi di un mondo che non aveva saputo vedere, se non tardivamente, il disumano salto di qualità rappresentato dal nazifascismo rispetto alla barbarie che aveva afflitto – e tuttora affligge – la storia del genere umano. La liberazione (anche ad opera degli angloamericani) di altri campi di concentramento e sterminio come Dachau o Mauthausen avrebbe aggiunto nei mesi successivi, fino alla caduta di Berlino, macabri tasselli al mosaico di sangue e sofferenze da mostrare alle coscienze di tutti e tutte.
In Sala Rossa, per la cerimonia in streaming, si sono ritrovati per la Città di Torino il presidente del Consiglio comunale Francesco Sicari, il vicepresidente vicario Enzo Lavolta e l’assessora Francesca Leon. La Regione Piemonte è stata rappresentata dall’assessore Fabrizio Ricca e il Consiglio Regionale dal suo presidente Stefano Allasia. Sui banchi consiliari anche il presidente della Comunità ebraica di Torino Dario Disegni e Fabio Levi, presidente del Centro internazionale di studi “Primo Levi”.
Introducendo la cerimonia, il presidente Sicari ha richiamato l’attenzione sulle “preoccupanti forme di negazionismo che proliferano nella nostra società”, caratterizzata da una “crisi della democrazia” troppo spesso sottovalutata. Forme di negazionismo amplificate dai social network, ha aggiunto il presidente, compresa quella che consiste nel cercare di cancellare o sminuire gli orrori del nazismo, dei campi di sterminio, dell’Olocausto.
“La politica deve avere il coraggio di non ammiccare a queste realtà pensando rappresentino solo dei voti” ha ammonito Sicari, che ha concluso: “A distanza di molte decine di anni, le testimonianze dirette di quanto avvenuto in quel periodo, mi riferisco a persone del livello della Senatrice a vita Liliana Segre, sono sempre meno. Come già avvenuto in passato, la storia può essere riscritta, i musei possono essere chiusi, e i reperti possono essere distrutti. La mia paura più grande è legata al fatto che quanto sto dicendo, è già avvenuto nella storia, più e più volte, e se guardiamo in questo preciso momento in certe regioni del nostro pianeta, ci rendiamo conto che sta nuovamente accadendo, in un silenzio generale. (…) Auguro a tutti noi di nutrire la capacità di guardare sia indietro che avanti perché il “passato” non trovi la via del ritorno”.
L’assessore regionale Fabrizio Ricca, da parte sua, ha denunciato il persistere di preoccupanti forme di antisemitismo, sostenendo che anche negare la legittimità e il diritto all’esistenza dello Stato di Israele, pur definendosi antisionismo, è equiparabile all’antisemitismo. Ricca ha poi proposto di allestire un museo dell’Olocausto, ad esempio nell’ex asilo di via Alessandria.
Dopo il presidente del Consiglio Regionale Stefano Allasia, il quale ha riassunto l’impegno dell’istituzione da lui rappresentata nella difesa dei valori democratici e nel mantenere vivo il ricordo della Shoah, ha preso la parola il presidente della Comunità Ebraica Dario Disegni. Prendendo spunto dall’attuale situazione, Disegni ha paragonato l’antisemitismo ad un virus che non cessa di diffondersi, segnalando come a livello mondiale siano in aumento le azioni ostili nei confronti di comunità ebraiche o di singoli ebrei.
È quindi stata la volta del presidente del Centro internazionale di studi “Primo Levi”, incaricato di tenere l’orazione principale della cerimonia. Fabio Levi ha esordito ricordando il fortuito ritrovamento in un magazzino comunale, alla fine degli anni Ottanta, di un registro recante tutti i dati degli ebrei torinesi. Redatto dopo le leggi razziali del 1938 ma divenuto molto più pericoloso, per chi vi era indicato, dopo l’8 settembre del 1943 e l’avvento della Repubblica Sociale alleata con gli invasori tedeschi, il registro era stato a quel punto fatto opportunamente “scomparire” da qualche dipendente del Comune.
Un esempio di come la Storia sia fatta di anche scelte etiche individuali. Fabio Levi ha quindi rievocato il valore della testimonianza umana e letteraria lasciata dallo scrittore torinese al quale è intitolato il centro studi da lui presieduto: di Primo Levi ha tra l’altro ricordato “la scrupolosa attenzione alla verità sul Lager e l’impegno a discernere come si possano conquistare pezzi di verità e quanto alto sia il suo valore”, oltre alla “consapevolezza che il Lager è una minaccia destinata a durare ma non è la misura del mondo”. Ancora, Fabio Levi ha ricordato dello scrittore (tema particolarmente attuale) “la fiducia nella scienza, pur soggetta in particolari condizioni a perversioni malsane” ed il “rispetto per gli esseri umani e per i più giovani in particolare, verso cui il dialogo sembra essere la forma di relazione più efficace”. Fabio Levi ha quindi inviato a riflettere sulla possibilità che Torino possa destinare “un luogo fisico e pienamente accessibile, perché per primi i torinesi – di età, ceti e culture diverse – e poi chi viene da fuori, dall’Italia e da tanti altri paesi possano avvicinarsi all’opera di Primo Levi, possano apprezzarla e farsi accompagnare dalle sue parole”.
A chiudere la serie degli interventi è stato quello dell’assessora Francesca Leon, che si è tra l’altro soffermata sul progetto del Museo diffuso della Resistenza, sostenuto dalla Città di Torino, delle “Pietre d’inciampo”. Ideate dall’artista Gunter Demnig, sono placche metalliche che vengono incastonate nei marciapiedi, in corrispondenza delle abitazioni dove risiedevano ebrei o militanti antifascisti, deportati e scomparsi nei campi di sterminio del Terzo Reich. Sul metallo sono incisi il loro nome e la data della morte. Un progetto entrato ormai nel suo settimo anno di vita e che ha visto finora ricordati i nomi di 71.000 vittime del nazifascismo nelle strade di duemila città, in 26 Paesi europei. Uno dei tanti aspetti, ha concluso Leon, dell’impegno della Città di Torino nella difesa dei valori costituzionali attraverso la costruzione della memoria.
Claudio Raffaelli