Il Museo del Risorgimento ha ospitato, questa mattina, l’incontro di presentazione del trentesimo rapporto sull’immigrazione curato da Caritas e Fondazione Migrantes l’organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana. Uno sguardo dettagliato sugli stranieri che vivono nel nostro Paese: le aree del mondo da cui provengono, le condizioni di lavoro, il livello di integrazione nelle scuole, la tutela della salute. Con una riflessione particolare sugli effetti provocati dalla pandemia tuttora in corso. E’ stato il direttore dell’Ufficio pastorale Migranti della Diocesi di Torino, Sergio Durando, ad aprire la serie degli interventi, ponendo l’accento su alcuni dati fondamentali. Innanzitutto l’impatto provocato dal Covid-19, che ha portato ad un calo complessivo della popolazione nel nostro Paese, nel 2020, 6,4% per la prima volta non compensato dalla popolazione straniera, calata a sua volta del 5%. Come certificato dall’Istat, la più grave crisi demografica dal dopoguerra. Durando ha spiegato poi che la crisi, anche occupazionale, ha tolto il lavoro stabile ad oltre 1500 lavoratori stranieri, senza contare i contratti saltuari ed occasionali. Una crisi occupazionale che ha portato ad un aumento della povertà assoluta certificata dai centri di ascolto Caritas, che segnalano come più di una famiglia su quattro sia scivolata in quella condizione, il 26,7% delle famiglie, contro il 6% delle famiglie italiane.
Ancora Durando cita il rapporto per segnalare che il 2020 ha prodotto una contrazione della popolazione straniera dell’ordine di 300mila persone. E se di queste, 130 mila hanno acquisito la nazionalità italiana, le altre 170mila hanno deciso di fare ritorno al Paese d’origine o muoversi verso altre nazioni, lasciandoci senza manodopera, anche qualificata, ed evidenziando la debolezza di un Paese, il nostro, che non sa più essere attrattivo ma diventa luogo di transito. In Italia ci sono 5 milioni di donne e uomini stranieri, 1,8 milioni di famiglie, 2,4 milioni di lavoratori, 860 mila studenti, in rappresentanza di 200 nazioni. Il Piemonte riflette il quadro nazionale: al primo gennaio 2021 erano 411mila gli stranieri presenti sul territorio, provenienti principalmente da Marocco, Albania, Cina, Nigeria, Ucraina e Perù. Il 9,5% della popolazione complessiva, oltre la metà, 211mila, vivono nella provincia di Torino, 131.256 a Torino. Il 62% degli stranieri non sono comunitari, quelli che lo sono provengono da Romania (136.853), Francia (3.085) e Bulgaria (3.057). Nel 2020 su 27.000 nuovi nati in Piemonte, il 20% sono stranieri. Per Durando: “A culture e religioni diverse, alle nuove generazioni, serve un governo delle migrazioni fatto con intelligenza, tornare ad investire nell’intercultura nelle scuole, lavorare per garantire giustizia sociale e pari opportunità, investire nella formazione degli adulti. Il lavoro importante è respingere con forza la logica dei respingimenti degli stranieri, quella logica dei muri alzati perché si ha paura di essere invasi, ma creare invece le condizioni per non scappare da questo paese e chi arriva senza l’intenzione di fermarsi trovi le condizioni per farlo”.
All’incontro ha partecipato, per portare il saluto della Città, la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo che, nel suo intervento, ha ricordato come il Rapporto sull’immigrazione, così come il termometro rappresentato dalla attività quotidiana dell’Ufficio Pastorale e le testimonianze che arrivano dai numerosi centri d’ascolto di Caritas sono, per un’Amministrazione chiamata a realizzare le aspettative di benessere di tutta la comunità, strumenti di conoscenza e di lavoro preziosi. Nel suo discorso, la presidente del Consiglio comunale ha posto l’accento sui danni provocati dalla pandemia, che ha accelerato tendenze già in atto, precipitando in un conclamato stato di bisogno persone già in difficoltà, mentre i nuovi cittadini più di tutti hanno pagato e stanno pagando il prezzo di un impoverimento diffuso della popolazione. “Torino – ha concluso Grippo – ha smesso di essere la città delle opportunità ed è nel pieno di una crisi di vocazione che la pandemia ha inasprito. I giovani immigrati di seconda generazione così come i figli di famiglie italiane immaginano il loro futuro altrove e chi ha scelto o ha dovuto restare, arretra sulla strada d’accesso ai servizi, ai diritti e alle tutele. Da parte nostra, l’urgenza di agire è chiara, ma serve conoscere nel modo giusto e il lavoro che ci viene consegnato oggi, va in questa direzione. Sapremo farne l’uso migliore per sviluppare politiche di crescita”.
Marcello Longhin