“Carceri, servono più psicologi: e meglio pagati”

Il disagio psicologico causato dal carcere, se non adeguatamente trattato, rischia di vanificare il reinserimento sociale a fine pena

La situazione delle carceri italiane,  spesso con problemi strutturali e di sovraffollamento, rischia di vanificare la funzione educativa e sociale della pena, sancita dalla Costituzione, riducendola al solo aspetto punitivo e rendendo ancora più difficile il reinserimento delle persone dopo l’espiazione della pena. Un adeguato supporto psicologico, all’arrivo nel penitenziario e durante il periodo  di carcerazione, è uno degli aspetti fondamentali ai quali le istituzioni devono provvedere, sia per il rispetto del benessere e  dignità delle persone detenute e del personale carcerario, sia per ottenere un pieno recupero delle stesse a una nuova vita al di fuori della prigione.

I servizi di aiuto psicologico negli istituti di pena sono generalmente gestiti con un numero insufficiente di specialisti,  come avviene in quello torinese “Lorusso e Cutugno”, dove si registra, spiega il documento, l’equivalente di 4 posti a tempo pieno per una popolazione carceraria che arriva in certi periodi a superare le 1400 unità.

Da questi presupposti parte una proposta di ordine del giorno (prima firmataria, Amalia Santiangeli) esaminata ieri in una riunione congiunta delle commissioni Legalità e Servizi sociali, presiedute da rispettivamente da Luca Pidello e Vincenzo Camarda. Il documento chiede alle autorità governative e all’ASL, competente quest’ultima per la sanità nei luoghi di detenzione, di stanziare fondi aggiuntivi che consentano di incrementare il numero – e adeguare i compensi oggi troppo bassi – degli specialisti impegnati nel servizio di supporto psicologico presso le case di reclusione. Il documento, che ha incontrato il consenso di molti consiglieri e consigliere intervenuti in Commissione, verrà sottoposto al voto in una delle prossime sedute del Consiglio comunale.

C.R.