In occasione del 75° anniversario della Repubblica, riproponiamo estratti di un articolo dall’archivio di cittAgorà, con interessanti dati sul comportamento dei torinesi a fronte delle votazioni per il referendum istituzionale e per l’elezione dell’Assemblea Costituente.
Nella primavera del 1946, Torino è ancora in guerra. Certo, quella “vera”, che ha insanguinato il mondo intero, è già finita un anno prima. A continuare, è la guerra contro la scarsità di cibo e latte, di lavoro e di case: ci sono cinquantamila disoccupati, e un terzo delle abitazioni distrutte o danneggiate (…). E’ ancora alla Giunta popolare di Giovanni Roveda, quindi, che spetta il compito di garantire l’organizzazione del primo appuntamento elettorale del 2 giugno 1946, una data destinata come poche altre a passare alla storia. Gli italiani (e le italiane, per la prima volta) sono chiamati a scegliere fra Monarchia e Repubblica e ad eleggere l’Assemblea costituente, che dovrà redigere il testo fondamentale del nuovo Stato democratico.
Ricostruire la città, preparare le elezioni
Nei mesi precedenti la Giunta popolare, alle prese con mille problemi come la distribuzione del latte, il ripristino delle alberate decimate dal disperato bisogno di legna da ardere, la ricostruzione di piazza San Carlo o il divieto all’apertura in città di case da gioco, deve trovare il modo – e i soldi – per allestire 550 sezioni elettorali che serviranno ai 487mila chiamati alle urne. Preparare le liste degli elettori, in una situazione in cui sfollati e senza tetto sono ancora numerosi, è difficile, come anche comprare migliaia di matite copiative a 15 lire l’una (un salario operaio è di qualche centinaio di lire al giorno). Nella primavera del ’46, l’atmosfera è tesa. La monarchia, rappresentata da Umberto II di Savoia – il “re di maggio”- è divenuta impopolare dopo fascismo e guerra, ma dispone ancora di un ampio consenso, fortissimo nel Sud. Il fronte repubblicano è vasto, imperniato sui partiti della Resistenza, ossatura del governo De Gasperi. Se qua e là ci si azzuffa, a Napoli ci saranno morti e feriti. Nel capoluogo piemontese, il 21 maggio, i partiti si accordano “per mantenere la lotta elettorale sul terreno di legalità e civiltà che si addice alla città“, creando un organismo unitario “che potrà essere convocato in ogni momento per prevenire incidenti“.
La “culla” dei Savoia vota per la Repubblica
Il 2 giugno, più di 426.000 torinesi (l’87,4% degli aventi diritto) vanno alle urne. Nella culla della dinastia, quasi due votanti su tre (61,05%) scelgono l’Italia turrita, che sulla scheda elettorale indica l’opzione repubblicana. Per essa votano circa 12.6 milioni di italiani, mentre 10.6 milioni scelgono lo scudo coronato. Per l’Assemblea costituente, i torinesi privilegiano il Partito socialista (Psiup) di Nenni e Saragat, che ottiene 117.053 voti, il 28,6%, e poi la Democrazia cristiana (27,4%) e il Partito comunista (26,4%). I liberali (Udn) non arrivano all’8% mentre il Partito d’azione si ferma all’1,5% dei suffragi. L’Uomo Qualunque si guadagna il 4% dei consensi, al monarchico Blocco Nazionale Libertà il 2,3%, non raggiungono l’uno per cento Partito dei contadini, Pri, Cdr. Il 7 giugno, a Palazzo Civico, il sindaco Roveda sottolinea che “la Repubblica democratica deve essere una forza d’attrazione e di unità del popolo italiano“, concetto ribadito in un telegramma a De Gasperi, ed esprime soddisfazione “per la maturità democratica dimostrata dagli italiani” , ricordando che a Torino “la votazione ha potuto aver luogo senza il minimo incidente“. Concordano i vicesindaci Chiaramello (Psiup) e Quarello (Dc), poi Barosio per i liberali, Coggiola (Pci) e Penati (PdA). Piazza Emanuele Filiberto diventa, il 19 giugno, Piazza della Repubblica (ma per i torinesi, Porta Palazzo era e tale è rimasta). Enrico De Nicola, il primo capo dello Stato repubblicano, arriverà in visita alla capitale subalpina il 30 settembre: “l’omaggio della cittadinanza al Presidente della Repubblica – si legge sul manifesto firmato da Roveda – deve significare la sicura fede di tutti noi che il nostro Paese, in libertà e in democrazia, risorgerà dalle rovine fasciste per ricostruirsi nel lavoro e nella pace(…).
Claudio Raffaelli