Perché Sepideh Gholian è così pericolosa per il governo iraniano, al punto di farla condannare in primo grado a 19 anni di reclusione – poi ridotti a cinque – e poi arrestarla nuovamente a poche ore dalla scarcerazione? Certo, Sepideh è una giornalista che ha dato voce a importanti lotte sindacali nel Khuzistan, la regione del sud ovest dell’Iran abitata da una minoranza etnica e religiosa, quella degli arabi sunniti, ritenuta infida e sospetta dal regime. Certo, è lei stessa una componente di questa minoranza. Ma il motivo principale è uno: di Sepideh ce ne sono a migliaia, le abbiamo viste nelle immagini dei telegiornali e del web, a Teheran come nelle città della provincia profonda: giovani donne iraniane di etnia persiana, curda, araba, azera, beluci, unite dallo slogan donna, vita, libertà, reso celebre dalle miliziane curde del Rojava in lotta contro l’Isis. Unite in una protesta che non è semplicemente “contro il chador”, il velo imposto dalla tradizione locale prima ancora che dai precetti religiosi, ma è la rivendicazione di diritti civili degni di una società civile, di diritti democratici e sociali, di parità di genere. In questo senso, la figura di Sepideh è paradigmatica di una società che scuote fin dalle fondamenta un regime intollerante e dalla forca facile.
La presentazione dell’edizione italiana del suo libro I diari dal carcere (a cura di Fabrizio Foschini, Gaspari editore) in occasione del Salone del Libro, è stata seguita da un pubblico attento e partecipe (presenti anche diversi torinesi di origine iraniana e la consigliera Sara Diena), durante un incontro organizzato oggi dalla Presidenza del Consiglio comunale. Dal 6 marzo scorso, Sepideh Gholian è cittadina onoraria di Torino, per voto unanime dell’assemblea elettiva di Palazzo Civico: e due mesi più tardi la giornalista dissidente è stata inserita a titolo onorario tra le iscritte all’Ordine dei Giornalisti del Piemonte e dell’Associazione Stampa Subalpina, il ramo piemontese del sindacato dei lavoratori e lavoratrici dell’informazione, la FNSI. La presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo, aprendo l’incontro (moderato dalla giornalista Maria Teresa Martinengo), ha ricordato l’ampiezza e la trasversalità del movimento di opposizione sviluppatosi in Iran a partire dall’anno scorso, che anche a Torino aveva ricevuto un forte appoggio, con manifestazioni e due documenti approvati in Sala Rossa. La figura di Sepideh Gholian, giovane donna e giornalista socialmente impegnata, era stata poi segnalata dalla comunità iraniana torinese – ha spiegato Grippo – apparendo subito come paradigmatica di un ampio movimento (di donne ma non solo) – in lotta per la democrazia e i diritti individuali.
“Per questo avevo proposto al Consiglio comunale il riconoscimento di questo valore paradigmatico attraverso il conferimento della cittadinanza onoraria torinese a pochi giorno dall’Otto Marzo, atto simbolico ma significativo nei confronti di coloro che sono reclusi nelle carceri iraniane” ha aggiunto Grippo. “Sepideh in questi anni è stata trasferita da un carcere all’altro affinché la sua storia si perdesse, ma in un periodo nel quale è rimasta in libertà ha potuto consegnare le sue memorie di carcerata, divenute un libro. L’incontro odierno – ha concluso Grippo – segna un ulteriore passo nella mobilitazione solidale nei confronti della comunità iraniana e del movimento in corso in quel Paese, perché un diritto negato a qualcuno è un diritto negato a tutti noi”.
Semir Garshasbi, presidente dell’Associazione culturale Italia-Iran, ha aperto il suo intervento ricordando come anche oggi tre giovani oppositori fossero stati giustiziati in Iran. Ricordate le azioni di solidarietà intraprese in Italia, con l’impulso delle comunità iraniane in esilio e nell’emigrazione, ha poi dato lettura di un breve messaggio di saluto fatto fortunosamente pervenire dalla stessa Sepideh, oggi detenuta nella prigione di Evin, a Teheran. Il messaggio esordiva ricordando il ruolo di scrittori e poeti nelle tappe cruciali della storia iraniana da un secolo a questa parte, spesso pagato con il sangue e la prigionia, come nel caso di una scrittrice incarcerata da anni per avere nel suo pc il testo di un libro (peraltro mai pubblicato!). “Nonostante questo i poeti – e con loro molta gente – cantano ancora l’inno della libertà” ha scritto Sepideh “sfidando i proiettili, mano nella mano, e dall’interno delle carceri arriva ancora la voce della rivoluzione. Donna-vita-libertà, per un futuro libero per tutta la società” ha concluso il suo messaggio Sepideh, definendosi contenta e onorata per il riconoscimento ricevuto da Torino.
Nei brani dei diari dal carcere della giovane cronista iraniana letti da Fabrizio Foschini, curatore e traduttore del volume, è emerso il ritratto di un’esperienza terribile, vissuta con angoscia ma con coraggio, in un contesto, quello delle carceri iraniane, per il quale vengono descritte vessazioni e torture – quelle psicologiche talvolta non meno devastanti di quelle fisiche – messe in atto contro ogni parvenza di diritto, nei confronti di persone incarcerate con pretesti di ogni genere. Proprio la “normalità” di Sepideh, i suoi interessi, le sue aspirazioni, ne rappresentano la pericolosità agli occhi del regime, ha sottolineato il curatore.
Nel corso dell’incontro è stato anche trasmesso un estratto della performance dell’artista siciliana Giana Guaiana Donna chiama libertà , ispirata alle vicende di Sepideh e delle giovani iraniane in lotta per la libertà.
Tanti gli applausi, i momenti di commozione e di sdegno, in una normale serata al Salone del Libro, dove è stato spiegato, a partire dall’esperienza vissuta da Sepideh Gholian sulla propria carne, che proprio il desiderio di una vita normale, decente e libera, è ciò che più intimorisce una tirannia.
Claudio Raffaelli