“Abbiamo bisogno di giustizia riparativa, perché la punizione, pure necessaria, non basta a risanare la lacerazione nel corpo sociale che a vari gradi viene causata da ogni reato commesso, al di là di chi ne è stato direttamente danneggiato”. Proprio per approfondire un concetto relativamente recente, come quello di giustizia riparativa, la commissione Legalità, presieduta da Luca Pidello, ha invitato a una propria seduta il padre gesuita Guido Bertagna e Davide Petrini, docente emerito di Diritto penale all’università di Torino. Se “la cultura dominante, oggi, è quella del buttar via la chiave”, secondo la definizione data da padre Bertagna, una visione comunitaria della giustizia non deve prevedere la sola punizione del reato, ma deve affrontare le sue ricadute sulle singole persone, sul tessuto sociale, anche “per restituire la parola al dolore arrecato del reato”, ha specificato il padre gesuita, oltre che per rendere l’autore del reato non semplicemente colpevole ma cosciente e responsabile rispetto alle sue conseguenze, anche in un’ottica rieducativa. Un cammino difficile che può essere intrapreso solo laddove vi sia la liberà volontà di percorrerlo sia da parte dell’autore del reato sia da chi lo ha subìto.
Non è semplice teoria, ha spiegato il professor Petrini perché il decreto legislativo 150/22, la “riforma Cartabia” ha introdotto una “Disciplina organica della giustizia riparativa”, affiancandone il paradigma a quello meramente punitivo. Se la punizione è necessaria, rappresentando l’elemento più immediato della risposta di una società civile nei confronti di chi infrange le regole della convivenza, tuttavia deve fare parte di una visione più complessiva, perché persino per chi il reato l’ha subìto, la sofferenza (pena) inflitta al reo non è sufficiente a curare le ferite, il dolore, il danno subiti. Diventano quindi giustizia riparativa, ha sintetizzato Petrini, tutti i programmi che consentono alla vittima e all’autore del reato, così come alla comunità, di partecipare in modo volontario alla risoluzione di tutto ciò che il reato ha causato, con l’ausilio di mediatori opportunamente formati che siano non equidistanti bensì, secondo la definizione data dal professore, equiprossimi nella costruzione del dialogo tra chi il reato l’ha subìto e chi ne è stato il responsabile. Spetta al giudice o a una delle parti in causa chiedere l’attuazione di un programma di giustizia riparativa, il quale potrà essere avviato solo con il consenso di tutti gli interessati.
Sono previsti anche centri di giustizia riparativa, e Torino dovrebbe esserne sede per quanto riguarda il Piemonte e forse la Valle d’Aosta, ha spiegato Petrini, conscio del fatto che “occorreranno anni per far sì che magistratura e avvocati entrino pienamente in sintonia con questi principi”, complessi ma necessari per un’efficace risposta al problema.
C.R.