il 5 maggio del 1945 alcune camionette dell’U.S. Army entrarono nel Lager di Mauthausen, liberando i sopravvissuti ad un orrore che, in quello e altri luoghi simili, era costato la vita a sei milioni di persone. La data della liberazione di Mauthausen ( il “cimitero senza croci”, come lo definì nelle sue memorie di deportato Terenzio Magliano, consigliere comunale per 25 anni e scomparso nel 1989) è diventata ora il giorno in ricordo dei deportati e degli internati militari. Perché nei lager, oltre a milioni di ebrei di tutta Europa, in assoluto quelli verso i quali si esercitava la maggior ferocia, finivano oppositori politici, partigiani, operai che avevano scioperato, lesbiche e omosessuali, rom e sinti, preti cattolici e pastori protestanti riottosi alla collaborazione con i nazifascisti, prigionieri di guerra.
I più non ne uscirono vivi, perché se le camere a gas erano riservate quasi esclusivamente agli ebrei, a tutti gli altri restava l’essere sterminati da fame, infezioni , criminali esperimenti “scientifici”, botte e violenze di ogni tipo, lavori forzati fino allo sfinimento, punizioni “esemplari”, comminate per infrazioni di piccola entità ma che potevano essere forca o fucilazione.
Questa mattina, in Sala Rossa le voci pacate ma solcate dall’emozione delle figlie di un deportato politico e di due internati militari (i soldati che non vollero aderire alla Repubblica di Salò dopo l’Otto settembre del ’43) a Mauthausen hanno fatto da contraltare alle voci emozionate ma squillanti degli allievi e allieve della III L della scuola “Piero Calamandrei”.
Dopo gli interventi istituzionali di vicepresidente vicario del Consiglio comunale e vicesindaca, le tre signore (Susanna Maruffi per l’ANED, Marilena Pedrotti e Alessandra Fioretti per l’ANEI )hanno rievocato le vicende dei loro padri a stento sopravvissuti ai loro aguzzini, analizzando anche le radici profonde di quel totalitarismo trasformatosi in una scientifica macchina per la morte violenta di massa. I ragazzi hanno ripercorso la vicenda di Aldo Acquarone, un giovane torinese impegnato nella Resistenza e deceduto in prigionia, vicenda da loro scoperta attraverso il Museo Diffuso della Resistenza.
Storie vere di ignobili torturatori, di vittime inermi, di ragazzi attaccati alla vita con i denti che hanno poi saldato il loro debito con la buona sorte, per tutti i giorni loro concessi, raccontando instancabilmente ciò che era accaduto e ammonendo contro la possibilità che accadesse ancora.
Claudio Raffaelli