Guerre per il copyright
Strategie militari e modelli di difesa dopo l'11
settembre
di Isidoro Mortellaro*
A volte solamente i
poeti e i profeti riescono a raccontare la realtà. Mario Luzi, il grande poeta,
ha parlato, a proposito del nostro mondo, di un sommovimento planetario
dell'umano inteso anche nel senso fisiologico, di un mondo che non vuole più
stare nella geografia che si è creata nei millenni passati, di un mondo che
urta contro la scorza che ha intorno e che abbiamo ereditato dalle passate
generazioni.
Un egoismo di morte
Viviamo un mondo squilibrato, dove l'1% della popolazione globale ha tante
ricchezze e distrugge tante risorse ogni giorno quanto il 57% più povero. Come
la definiamo una situazione del genere? In ambito religioso si potrebbe
chiamarla peccato mortale. Per il diritto, quello umanitario vero, è un delitto
contro l'umanità. E per il senso comune è un mondo in pericolo, che non può
stare in piedi in questo modo. Noi veniamo da un secolo in cui la popolazione è
aumentata per tre volte, il consumo d'acqua è aumentato per sei volte, ma la
produzione per dodici volte. E noi apparteniamo a un pezzo dell'umanità, il 20%
più ricco, che consuma ogni anno l'84% delle risorse del pianeta e poi si accaparra
il 58% dei consumi di energia, il 74% dei telefoni, il 93% dei siti internet,
l'87% della carta che si consuma nel mondo. Un bambino occidentale, per il modo
in cui vive e consuma, lascia sul pianeta un'impronta ecologica (la chiamano
così gli scienziati) cinquanta volte più grande di quella di un bimbo del terzo
mondo. E questo nostro modo di vivere non è solamente manifestazione di
egoismo: è un egoismo apportatore di morte per il pianeta. E allora dobbiamo
veramente acquisire la coscienza che la disuguaglianza è fonte di ribellione e
mai il mondo è stato più diseguale di come ci appare in questo passaggio di
millennio. Qualcuno già ha cominciato ad interrogarsi su quale possa essere il
nostro futuro postumano, oggi che l'uomo prova ad applicare la scienza non più
alla trasformazione della società ma direttamente a se stesso. Siamo già,
dunque, in un'era postumana. Quali saranno le regole del futuro? Chi le
gestirà? Affidiamole a pochi, dicevano nelle antiche oligarchie. E le moderne
oligarchie che tornano ad imporsi non si fondano soltanto sulla distribuzione
della ricchezza materiale. Si rappresentano soprattutto in una piccola parola
inglese, copyright, diritto d'autore. Oggi le guerre nel mondo si fanno per il
copyright: e non sto banalizzando.
Le regole del
futuro
Al WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, a cui sono state affidate le
decisioni sul nostro futuro, ciò di cui si sta discutendo sono fondamentalmente
le regole del copyright: che cosa appartiene a chi. Pensate a quei poveretti di
una certa zona della Sardegna che hanno ormai gli scienziati sempre in casa che
perché lì non c'è una particolare forma di cancro. O al popolo islandese il cui
governo ha venduto l'intero patrimonio genetico a una casa farmaceutica perché
si facessero delle ricerche. Era in suo potere farlo, proprio come in Amazzonia
con qualche specie vegetale utile per curare un nostro malanno? A chi
appartiene tutto ciò? All'umanità, a quei popoli, a chi fa la ricerca su quella
cosa e se ne impossessa? La difesa del copyright, che spesso ci viene rifilata
dai media, è in realtà la vita rifiltrata dalla scienza, consegnata ad altri.
Ecco, allora, che torna l'interrogativo: a chi appartiene il futuro e come sarà
regolato? Lo decideremo noi o qualcuno lo deciderà sulla nostra testa? E
ancora, lo deciderà l'occidente, quel 20% dell'umanità capitanato dagli Usa, o
lo si deciderà insieme, in una qualche assemblea mondiale? Dobbiamo esser
pronti ad affrontare le sfide del futuro. Siamo figli di un'era, anche se ce lo
dimentichiamo, che si è aperta il 6 agosto 1945 a Hiroschima. Un'era
assolutamente nuova anche perché falsifica quella che secondo molti è una legge
fondamentale della storia, e cioè che l'uomo è condannato a fare guerra.
L'atomica ha reso falsa per sempre quella regola perché rende la guerra
impossibile e impensabile. Una guerra è sempre un calcolo razionale: si pensa
di sopravvivere, di vincere, di avere una terra da spartirsi. L'atomica rende
impossibile questo calcolo, perché, se pensiamo a una guerra atomica tra due
paesi che la possiedono, rende assolutamente certa la fine del mondo e
dell'umanità. Rende pensabile il suicidio dell'umanità. Perciò dall'atomica
nacque quella guerra stranissima che chiamavano guerra fredda, la guerra che si
poteva solo minacciare ma non si poteva fare. E più armi si accumulavano più si
rendeva la guerra impossibile perché si rendeva assolutamente certa la
distruzione di tutti. Durante il processo di Norimberga, alla questione
sollevata dai difensori dei gerarchi nazisti sui devastanti bombardamenti
alleati contro le città europee o su quelli atomici in Giappone, il sostenitore
della pubblica accusa disse: "Circa i bombardamenti sulle popolazioni
civile, io chiedo che sia i gerarchi nazisti sia i capi alleati non vengano chiamati
a rispondere di alcun reato". Che cosa faceva quel procuratore? Assolveva
per un delitto passato o invece preparava una regola per il futuro? Io rispondo
che preparava una regola per il futuro. E questo ci permette di capire la
contabilità della morte per guerra dal 1945 in poi. In circa 1250 conflitti si
calcola siano morti 25 milioni di persone. E di questi, non più di 200mila sono
occidentali (come gli americani in Vietnam) o dell'est europeo (dalla
Jugoslavia alla dissoluzione dell'URSS).
Cambia la Nato
Ecco a cosa è servita l'atomica. Anche se non più usata dal 1945, è stata
l'arma più perfetta per quella cosiddetta guerra celeste in cui ormai
l'occidente si è specializzato, cioè la guerra fatta a distanza: come un pugile
con un allungo micidiale, un braccio di due metri con cui colpisce l'avversario
senza che questi possa colpire a sua volta. L'atomica è servita all'occidente
per governare la guerra, per tenerla lontana da sé, mentre si diffondeva nelle
altri parti del mondo o assumeva altre facce, quelle economiche, della
sopraffazione imperialista e neocolonialista. Con l'11 settembre questo pilone
del nostro mondo è stato buttato giù insieme alle due Torri. E' caduta per
sempre la grande carta del mondo che da secoli ci portavamo dentro, con l'Europa
al centro del pianeta e tutto il mondo sistemato intorno, guardato sempre e
soltanto dall'alto. Ricordate l'immagine più famosa del'11 settembre? C'è il
pompiere di fronte alla telecamera, si sente il sibilo del jet che passa, la
telecamera che si alza e inquadra l'aereo che centra il grattacielo. L'11
settembre ha costretto l'Occidente a guardare il tutto dal basso, non più
dall'alto. E l'altra rottura provocata dal gesto del kamikaze, che in quel
gesto si annulla mentre annulla la vita degli altri, è che cade proprio la diga
controllata dall'atomica. L'atomica non si lanciava perché sarebbe stata morte
sicura. Il gesto dei kamikaze dell'11 settembre dice questo: "Noi nel
nostro gesto moriamo, siete capaci di farlo anche voi?". E, ahimè, l'amministrazione
Bush li ha presi sul serio. E li ha presi sul serio perché questo era stata la
campagna elettorale del presidente Bush: ci andiamo a confrontare con un mondo
sconosciuto, dai rischi nuovi, incontrollabili. In quel mondo la deterrenza del
passato non c'è più perché altri sono i rischi. E quindi possiamo anche
cancellare i vecchi trattati. E così si è fatto, anche grazie anche ai silenzi
degli europei. Mentre gli americani sperimentano le nuove atomiche, le atomiche
tascabili, quelle che devono servire a sigillare Saddam in qualche bunker. E
fino all'ultimo capitolo, in cui noi europei abbiamo grandi responsabilità,
quello aperto a Praga pochi mesi fa con la nuova Nato. Il nostro Parlamento non
ne ha neppure parlato, però lì è stato riformato completamente il Trattato
della Nato. Non si tratta più di un Trattato difensivo. Le carte di Praga sono
allucinanti. Il nuovo Corpo d'Armata, ventimila uomini, sarà in grado di andare
ovunque nel mondo a combattere per qualsiasi sfida si ponga rispetto al nostro
mondo, ai nostri stili di vita, ai nostri consumi, al modo in cui noi abitiamo.
Bush l'aveva annunciato due anni fa nel suo programma elettorale: dobbiamo
rafforzare la Nato in modo da farne un gendarme della globalizzazione che possa
correre ovunque nel mondo. E l'amministrazione americana oggi si arroga il
diritto di fare una guerra preventiva. Ma di questa guerra preventiva si
nasconde un aspetto centrale. Per essere efficace, una guerra preventiva deve
far sì che io tolga al nemico le armi con cui mi può colpire. Ma come si
applica questo principio con i terroristi dell'11 settembre, armati al massimo
di temperini, che però hanno saputo utilizzare dei voli civili per portare la
morte nel centro di New York? C'è un modo solo: li si distrugge, si inventano
carceri speciali, si globalizza anche la tortura. E poi, cos'è una guerra
preventiva quando impugna l'atomica? Ecco perché oggi impugnare la bandiera
della pace rappresenta un gesto di realismo, non di utopia. Sappiamo che oggi
che possiamo davvero arrivare sino all'arma atomica finale e perciò dobbiamo
gridare forte la nostra voglia di pace. Se vogliamo che il mondo abbia
veramente un domani.
* Docente
Università di Bari - dall'intervento tenuto il 30 dicembre 2002 al Convegno
"Smilitarizzare Dio, smilitarizzare l'uomo .