Suggerimenti di sostenibilità

Walter Giuliano

Il dibattito sulla società ecosostenibile sembra ultimamente trascurare alcuni argomenti fondamentali.

La crescita demografica è osservata su basi locali e non più globali con allarmismi sulla crescita zero degli italiani, che rimangono comunque una delle popolazioni a più alta densità territoriale.

Il problema energia, nonostante il rinnovato ritornello sulle nostre dipendenze dall'estero, vive momenti pubblicitari che cercano di incentivare sempre maggiori consumi. Nonostante amministratori già ambientalisti. Eppure sembra essere sempre più urgente la necessità di rilanciare la proposta di un modello di consumo globalmente meno energivoro, giacché i maggiori consumi innescano un altro fenomeno, quello dei gas serra, che rischia di mettere in dubbio il futuro di tutti noi.

Che lo sviluppo industriale abbia assunto una dimensione antibiologica è noto da tempo. Il contrasto fra le esigenze fisiologiche della biosfera - cui l'uomo appartiene - e una società che andava assumendo connotati di sempre più intenso sfruttamento delle risorse non rinnovabili è apparso con chiarezza sin dal momento in cui si sono poste le basi energetiche dell'era industriale. Il tributo in termine di malattie da ambiente di lavoro, inquinamento, disagio sociale cominciò dall'epoca dell'Inghilterra del carbone e arriva sino ad oggi. Nel frattempo sono scomparse le foreste che ricoprivano l'Europa, abbattute per far spazio all'agricoltura e per fornire combustibile alle industrie; ed è andato via via crescendo lo sfruttamento delle risorse minerarie (non rinnovabili) del Pianeta. Un'emorragia irreparabile di risorse materiali ed energetiche che sta già incombendo sullo sviluppo industriale con la crescita dei costi, che pesa per le sue conseguenze sulla biosfera e che peserà sulle esigenze delle generazioni future.

Per questo, come ha raccomandato l'ultima conferenza mondiale sull'ambiente di Rio de Janeiro, è indispensabile raggiungere al più presto un sistema di vita ecocompatibile, capace di garantire la sostenibilità biologica dei nostri modelli sociali. E per farlo occorrono mutamenti comportamentali sostanziali giacché non possiamo accettare la teoria secondo cui il crescente dissesto ecologico sarebbe soltanto un epifenomeno risolvibile dallo stesso modello di sviluppo che lo determina.

Intanto boschi e foreste continuano a scomparire al ritmo di 150.000 chilometri quadrati l'anno, mentre il deserto inghiotte 50.000 chilometri quadrati di terre prima vitali.

Gli ossidi da combustione che continuiamo ad emettere nella nostra atmosfera ritornano sulle nostre teste con le piogge acide che deteriorano i monumenti e disgregano i nostri palazzi ma soprattutto uccidono come lebbra l'apparato fogliare delle piante e ne rallentano la fotosintesi, meravigliosa macchina biologica che ci dà l'ossigeno che permette la vita.

Per non parlare delle incidenze sulla salute collettiva con l'azione nella diffusione nelle patologie respiratorie croniche nell'insorgenza dei cancri polmonari.

A questi guasti planetari non possiamo rispondere fideisticamente invocando l'arrivo di nuove tecnologie capaci di porre loro rimedio.

E' improbabile che una riorganizzazione tecnocratica possa da sola pilotare lo sviluppo verso un equilibrio tra crescita industriale ed esigenze biologiche. L'antinomia tra tecnosfera e biosfera è destinata a crescere proprio perché la prima, basata prevalentemente sull'uso massiccio di risorse materiali ed energetiche non rinnovabili, trasferisce irreversibilmente le stesse nell'ecosfera compromettendone gravemente tutti i fenomeni vitali.

Basti per tutti l'esempio più comune e diffuso, quello dei rifiuti. Nicholas Georgescu-Roegen ci ha insegnato con quella che ha chiamato la quarta legge delle termodinamica, che in un sistema chiuso come la Terra, l’entropia della materia tende al massimo ed ha come traguardo il caos. Poiché l'energia serve all'industria per interagire con la materia, il colossale impiego di energia messo in atto dal sistema industriale sta incrementando in maniera rapidissima il disordine e l’inquinamento del pianeta. Più si impiega energia - anche "pulita" - più aumenta l'entropia che non è altro che un processo antagonistico alla vita. Si è infatti attivato un flusso di entropia negativa - necessario alla vita biologica - caratterizzato da un sempre crescente disordine molecolare che ha alterato il flusso in entrata nell'organismo umano. E’ per questo che nel nostro corpo si accumulano ogni giorno sostanze nocive immesse nei flussi biologici dall'attività industriale. E il guaio è che tra queste sostanze ve ne sono ormai decine di migliaia di sintesi (70.000 commercializzati negli ultimi quarant'anni), sconosciuti alla vita, alla biosfera e di conseguenza impossibilitati a rientrare nei processi metabolici dei cicli biologici.

Se pensiamo che il sistema industriale in meno di tre secoli ha prodotto più entropia di quanta ne abbia prodotta tutta l’attività biotica del pianeta dalle origini a oggi il fenomeno ci appare in tutta la sua gravità. Il turbamento di un sistema come quello della vita, animale e vegetale, basato sulla regolazione del flusso di materia e di energia a livelli di entropia minima senza pericolosi accumuli di inquinanti, sta oggi mettendo in forse le basi stesse della vita.

Se non si comprendono questi concetti basilari non si può cambiare una mentalità malata di produttivismo, di consumi spesso inutili esasperati e crescenti e dello spreco. E non si può comprendere come lo sviluppo delle società umane non possa passare né attraverso la crescita del prodotto interno lordo, né tantomeno attraverso il crescente consumo di energia. E' peraltro certo che i flussi di materiali e di energia non possano continuare indefinitivamente verso l'alto, ma siano destinati inevitabilmente a tornare per legge naturale verso il basso nel momento in cui si oltrepassano i limiti sostenibili. Ciò potrà avvenire o per scelta umana - e sarebbe preferibile - o per effetto di retroazioni naturali.

Gli ambientalisti hanno dato alle cause del degrado crescente del pianeta una formula detta IPAT secondo cui impatto = popolazione x agiatezza x tecnologia (La formula fu proposta per la prima volta nel 1971 da Paul Ehrilch e John Holdren nella forma semplificata I=PxA ed è stata successivamente affinata da Paul e Anne Ehrilch). Sono questi i tre elementi su cui occorre, a seconda della situazione, intervenire al massimo per ridurre l'impatto al minimo.

Lester Thurow, economista del MIT ha osservato: "Se tutta la popolazione mondiale avesse la produttività del cittadino svizzero, le abitudini di consumo del cinese, le tendenze egualitarie dello svedese e la disciplina sociale del giapponese, il pianeta potrebbe sostenere un numero di abitanti molto maggiore di quello attuale senza privazioni per alcuno. Se, d'altra parte, essa presentasse la produttività del Ciad, le abitudini di consumo degli Stati Uniti, le tendenze alla disuguaglianza dell'India e la disciplina sociale dell'Argentina, allora il pianeta non potrebbe in alcun luogo reggere i valori attuali".

E’ quindi necessario procedere sulla strada del "meno è meglio" per riprendere lo slogan di una campagna dei verdi che raccomandava la rifondazione delle attività economiche dell’uomo sui principi dell'uso oculato delle risorse che privilegi quelle rinnovabili, nonché della regolazione al minimo dei consumi e dei bisogni cancellando quelli artificiosamente indotti. Solo in questo modo sarà possibile realizzare un sistema sociale a bassa entropia in grado di ricondurre l'economia sulla strada della saggezza e conseguentemente di tutelare preventivamente la salute e la vita.

La società sobria deve essere capace di abbandonare il superfluo e recuperare i valori etici e morali che la società opulenta del dio consumo ha calpestato, producendo sempre maggiore disagio, emarginazione, incapacità di vivere. E' questa la sfida che dobbiamo accettare per il nuovo millennio.