Contributi per una definizione sistematica del concetto Globalizzazione

 

La globalizzazione

Globalizzazione: Vantaggi? E Limiti!

La Globalizzazione, il Welfare State, la crisi di esso e le nuove realtà transnazionali

La Globalizzazione: punto di arrivo di processi precedenti

La globalizzazione e lo stato: crisi dello stato nazione e difficoltà della sostituzione di esso

Il fenomeno globalizzazione

Economia e globalizzazione

Globalizzazione e Globalismo

Globalizzazione: fra economia e politica

La Globalizzazione come fenomeno economico

Globalizzazione: aspetti economici



 

Globalizzazione: Vantaggi? E Limiti!

di Luca Andriani

Indipendentemente dalla definizione tecnica che i politologi e gli addetti ai lavori hanno dato riguardo al concetto di globalizzazione, bisognerebbe, a mio giudizio, cercare di avvicinare il più possibile tale condizione di fatto alla realtà in cui il "Sistema Mondo" volente o nolente si trova a dover affrontare quotidianamente.

Tale articolo non vuole essere un abstract conclusivo derivante da una serie di certezze inconfutabili, quanto un ulteriore punto di partenza affiancato da una, se pur modesta, analisi critica, abbracciata da una sorta di spirito di provocazione che induca a riflettere e a dubitare delle apparenze, atteggiamento che purtroppo molto spesso non viene adottato.

Per cercare di raggiungere tale obiettivo mi sono avvalso, di materiale informativo di diversa natura, prestando però particolare attenzione ai quotidiani italiani e stranieri e alla relazione del prof. Roberto Panizza, docente di Economia internazionale presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino, dal titolo: "Vantaggi e limiti della globalizzazione", presentata in una giornata di incontri svoltasi all’UNICEF su "L’educazione allo sviluppo" .

Che impatto ha il processo di globalizzazione nella società mondiale? Quali conseguenze provoca?

L’economia, come scienza, dovrebbe trovare il modo di soddisfare i bisogni dell’uomo, ma la realtà in cui viviamo (una realtà in cui l’approccio economico si arroga il diritto di prevalere su tutte, o quasi, le altre scienze) deve fare i conti, ogni giorno, con numerose situazioni di depressione in continua crescita. "L’esercito de sottonutriti" raggiunge quasi un miliardo di persone e i "perdenti della globalizzazione" si accumulano in più di ottanta paesi (Rapporto UNDP 1999). Se poi dai PVS ci spostiamo ai paesi industrializzati il tasso di disoccupazione è in continua crescita, specie nei paesi dell’Unione Europea, senza contare inoltre, in base alle notizie forniteci da A.Lattieri, che "quasi cinquanta milioni di cittadini americani vivono al di sotto o prossimi alla soglia di povertà".

L’intera situazione è resa ancora più instabile dalle crisi finanziarie che a turno colpiscono il Sud-est asiatico, la Russia, il Brasile provocando un aumento del "panico generale".

Le cause di questo divario enorme che investe il mondo globale, Panizza le racchiude in due sfere: quella commerciale e quella finanziaria.

Per quanto riguarda la prima, la "selvaggia deregolamentazione dei mercati", affiancata da una crescente integrazione degli stessi a livello mondiale, ha portato le multinazionali a diventare delle vere e proprie fonti di potere accanto e molte volte ( specie nei PVS) in alternativa a quelle statali. C’è da aggiungere che le organizzazioni internazionali hanno contribuito, per certi versi, ad estendere il potere strutturale degli stati industrializzati (Strange) minando ulteriormente la già precaria autonomia dei paesi più poveri.

Sulla seconda sfera bisogna sottolineare che il mercato borsistico statunitense ha, da una parte avvantaggiato l’economia americana (Wall Street ha una capitalizzazione annua maggiore del PIL degli Stati Uniti), dall’altra condiziona costantemente la situazione finanziaria globale grazie a spostamenti continui di quantità notevoli di capitale. Tali spostamenti, favoriti sia da una continua liberalizzazione della circolazione del capitale, sia da un sempre più superficiale controllo istituzionale sugli stessi, sono causa di instabilità e quindi di insicurezza.

Se le multinazionali sono diventate una fonte di potere notevole, anche la criminalità organizzata non delude le aspettative. Sotto una "società legale" se ne nasconde un’altra, criminale in questo caso, che abitualmente utilizza gli stessi mezzi della prima con ottimi risultati, lo stesso Panizza afferma che in base ad alcuni episodi, oggetto di indagini giudiziarie, la malavita organizzata avrebbe notevoli capitali in alcune public company americane.

Il Rapporto sullo sviluppo umano del UNDP (United Nations Development Program) del 1999 sostiene in qualche modo il processo di deregolamentazione e liberalizzazione dei sistemi convinto che l'integrazione dei mercati porti logicamente ad un’espansione della capacità economica. Ma siamo proprio sicuri che gli stati, industrializzati in particolar modo, adottino una politica economica liberista che miri a sviluppare un mercato concorrenziale che rispetti i principi, fatti propri dall’Unione Europea e dal suo diritto antitrust, della workable competition?

Federico Rampini su "La Repubblica" fa notare come tendenze protezionistiche all’interno dell’UE siano frequenti e adottate dagli stessi stati portavoce dell’economia globale.

In realtà con la multinazionalizzazione dei mercati anche le imprese per poter essere competitive devono aumentare di dimensione, rendendo a volte indispensabile, non solo una strategia di alleanza con altre simili (es. joint-ventures), ma il ricorso ad aiuti statali, facendo venir meno uno dei fondamenti della concorrenza ossia la libera uscita dal mercato per mancanza di competitività.

Parimenti anche la libera entrata in un mercato non è così scontata, Patrick A.Messerlin (Le Monde) parla di livelli ancora troppo alti di protezionismo presenti nel commercio internazionale.

La cosa interessante è che questi "pics tarifaires" (picchi tariffari) si stanziano negli Stati Uniti e nella Comunità Europea e hanno una "intensità" diversa, che va dal 50% al 70%, a seconda dei settori. A tutto ciò bisogna aggiungere gli ostacoli non tariffari legati, in parte, a quel processo di normalizzazione sempre crescente, specialmente in Europa, che se per alcuni versi è ragionevolmente giustificato per altri è moralmente non condivisibile.

Se spostiamo l’angolazione della nostra analisi dal piano economico al piano politico, diventa inevitabile parlare del tentativo urgente per risolvere il problema della non-Governance.

Se riprendiamo ancora una volta il Rapporto UNDP del 1999 si parla di un "vuoto politico" che si è stabilito negli ultimi tempi fino a giungere al "venir meno del primato della politica sull’economia".

La mia opinione , al riguardo, è che se la perdita del potere statale e la riallocazione della distribuzione del potere nel sistema globale provoca, per certi aspetti, una sorta di "sconfitta della democrazia" a favore dei "sistemi gerarchici delle multinazionali", per altri aspetti dovrebbe essere uno stimolo per risvegliare da un lungo sonno lo spirito idealistico dell’uomo e portarlo verso "nuovi orizzonti politici". Occorre, in poche parole, che si ridisegni la mappa del processo democratico, con nuove strade non più legate e vincolate al mito dello stato-nazione ma dalla necessità di una volontà generale intesa non tanto in termini rousseauiani, quanto in termini di democrazia mondiale.

A questo proposito , mentre Schiattarella ci mette in guardia scrivendo che "comincia a diventare senso comune il fatto che sia la società a doversi far carico dei problemi delle multinazionali, assecondando le loro esigenze, piuttosto che il contrario", Richard Falk, professore di diritto internazionale all’università di Princeton, elabora il progetto di un’Assemblea globale dei popoli e un Forum permanente che permetta al nuovo ordine globale di essere organizzato sulla base di regole democratiche.

Credo che il modo migliore per rispettare i dettami di questa nuova mappa, sia quello di fare avanzare il processo democratico in modo sostenuto (ma volontario!), a discapito di una strategia funzionalistica dei "piccoli passi", visto che la dignità e la stessa vita umana, minacciate ogni giorno sempre più, non possono e non devono aspettare ulteriormente affinché vengano riconosciute.


 

La Globalizzazione come fenomeno economico
di Nicholas Figoli

La globalizzazione è un processo che tende ad unificare il mondo rispetto ad un livello innanzitutto economico ma anche politico e culturale.
Cercherò di analizzare al meglio il primo aspetto mettendo in rilievo le caratteristiche principali di questa nuova economia.
Premessa fondamentale del processo di globalizzazione è l'aumento esponenziale degli scambi monetari e finanziari a livello mondiale, reso possibile dallo sviluppo delle nuove tecnologie telecomunicative, Internet in primis, che hanno portato ad uno scambio monetario complessivo di circa 1500 miliardi di dollari nel 1997 contro i 15 miliardi di dollari del 1965.
Sappiamo però che una caratteristica tipica della grande rete è quella di essere molto sfuggente, per cui il controllo degli stati nazionali in queste transazioni non può essere capillare e, anzi, risulta spesso superficiale.
Proprio per tale motivo si è sempre più optato per politiche di liberalizzazione economica che hanno portato ad assoggettare gli stati ad una realtà imposta dal mercato tendendo così sempre più a realizzare quella teoria utopistica-mercantile che vede l'utilità dello stato solo nel ruolo di "fornitore" di forza lavoro e delle infrastrutture necessarie per lo sviluppo di un mercato florido.

La liberalizzazione economica ha inoltre portato alla crisi del Welfare state, cioè lo stato "provvidenziale" (in ottica interventistica) facendo venir meno il rapporto e la mediazione tra stato, lavoro e capitale.

Altro aspetto fondamentale per lo sviluppo di un'economia globale è la diminuzione dei costi nel settore dei trasporti in quanto tutto è reso più mobile e le aziende stesse possono decidere di spostare i loro centri produttivi laddove ci siano migliori condizioni di produzione, vale a dire costi di manodopera minori e tassazioni più convenienti.
Questo fenomeno è detto "delocalizzazione dei centri produttivi" e, durante le nostre ricerche e studi, lo abbiamo analizzato grazie anche all'esempio della SwissAir citata dal prof. Pezzino dell'Università di Pisa nella conferenza che ci ha tenuto : infatti tale compagnia aerea ha i suoi call-center in India ove vi è un minor costo orario del lavoro e ingegneri altamente preparati.
Abbiamo anche visto come, nell'ambito della produzione, sia stato superato il modello "fordista" e si sia ormai affermato il modello Giapponese secondo cui il consumatore è diventato padrone della produzione. Una macchina, ad esempio, viene messa in produzione solo una volta che l'utente ha scelto esattamente le caratteristiche della sua prossima vettura.
In questo senso vi è la messa in rilievo della "glocalicità", vale a dire del pensiero secondo cui bisogna pensare globale ma agire in maniera locale.

Insomma la globalizzazione non è qualcosa di totalmente uniforme ma implica, proprio per essere globale, delle differenze che rendano possibile però, a livello economico, lo scambio sempre più ampio di merci non reali e di merci reali, le quali ultime vadano incontro - come è implicito nell'ottica toyotista- alle richieste del cliente il quale avrà un'ottimizzazione del prodotto secondo le sue esigenze ad un prezzo talvolta inferiore grazie alla diminuzione dei costi di produzione dovuta alla delocalizzazione dei centri produttivi da parte delle aziende.


 

Globalizzazione: fra economia e politica
di Pierluigi Fumanti

Come ha affermato il professore Paolo Pezzino, la globalizzazione non deve essere troppo enfatizzata come processo del tutto originale e a sé , perché essa è in realtà l'inevitabile punto d'arrivo di un processo di modernizzazione precedente che ha preso avvio con la rivoluzione industriale del 1700-1800.E' opportuno però sottolineare come alcuni critici,ad esempio Wallerstein, individuino l'origine di tale processo, che ha arrecato notevoli cambiamenti a livello politico,sociale e soprattutto economico, nella nascita del sistema capitalistico nel Cinquecento. In quell'epoca prende avvio e si consolida la fisionomia dello stato assoluto (Inghilterra, Francia) che nel 1800 diventerà stato-nazione con la formazione e stabilizzazione appunto del concetto di Nazione.

In tale periodo è soprattutto la rivoluzione industriale a garantire, tramite la simbiosi di industria e sperimentazione scientifica avvenuta con la seconda rivoluzione industriale specie in Germania, i più significativi cambiamenti.Il capitalismo, che vede come classe egemone quella borghese, diviene una sorta di "tic nervoso" dello Stato- nazione , il quale tende a localizzare il lavoro, a consolidare i propri confini, di conseguenza a "proteggere" la propria economia favorendo le esportazioni e diminuendo le importazioni dall'estero(neomercantilismo). Possiamo affermare quindi che inizia allora la fase della politica interventista (e della territorialità omnicomprensiva) che avrà il sua apice, ma anche le sue modifiche, con il Welfare State nel '900 .Nel 1929 una profonda crisi dettata della sovrapproduzione e dal sottoconsumo induce gli stati nazionali a prendere progressivamente ulteriori provvedimenti in campo economico, intervenendo in seguito sul reddito delle classi produttive in modo da assicurare l’ occupazione e aumentare gli stipendi e perciò garantire maggiori consumi.Questa proposta teorizzata dall'economista Keynes, a seguito della grave crisi del '29, si traduce nella istituzione del cosiddetto Welfare state, o "stato della provvidenza" ma anche del benessere ", un vero e proprio stato sociale che abbandona decisamente la teoria liberistica, teorizzata da Adam Smith e Ricardo, per affidare allo Stato non solo il controllo sugli indirizzi dell’economia, ma anche sul settore sanitario, dell'istruzione ecc. così da assicurare maggiori opportunità a tutti i meno abbienti. Negli anni successivi alla II guerra mondiale si consolida questa concezione democratica dello Stato, in contrapposizione al modello del capitalismo " vecchio stile" e del comunistico sovietico.

Concludendo è però opportuno chiarire come attualmente la globalizzazione respinga l’ideologia del Welfare a favore di una liberalizzazione del mercato, non solo dei prodotti finiti, ma anche delle finanze. Infatti lo stato al giorno d'oggi, per adeguarsi allo sviluppo economico e tecnologico (basti pensare alla rete multimediale di Internet "quasi impossibile da frenare") è "stato costretto" a liberalizzare l'economia. A proposito dello sviluppo informatico, che rende possibile lo scambio di enormi masse monetarie nel mercato delle valute, è necessario inserirlo sempre nel processo di modernizzazione sopra descritto. In particolar modo ci si deve riferire alla rivoluzione elettrica di fine '800 inizio '900 (di cui quella industriale è la più accreditata premessa) al termine della quale, grazie all'utilizzo di fonti energetiche trasportabili quasi ovunque, è sorta una società di macrosistemi e reticoli anarchici. Questi hanno messo fine alla territorialità onnicomprensiva, soprattutto negli anni '60 - '80 e come sostiene Mayer, hanno contribuito alla nascita della attuale società globale, in cui ogni centro, limite o confine, ha definitivamente perso di importanza e senso , cosa ben testimoniate dalla delocalizzazione del lavoro e, soprattutto, dalla presenza di imprese multinazionali. Tali "colossi" dell'economia mondiale (macrosistemi e reticoli anarchici) sono a loro volta nati con la fine del consumismo di massa (o fordismo) a cui è subentrata la produzione giapponese o toyotismo, nella quale invece conta la qualità dei beni messi sul mercato in base alla richiesta dei consumatori, e non la quantità di essi.


 


Globalizzazione e Globalismo
di Bruschi Alessia

La globalizzazione è un fenomeno, fondamentalmente economico, che tende alla creazione di un mercato globale, più per quanto riguarda le merci finanziarie che non i prodotti finiti. Tale processo, che oggi è accompagnato anche da un’ideologia chiamata globalismo e che può essere identificata nel neoliberismo, è il risultato di un processo di modernizzazione che ha le sue origini nel 1500 con la scoperta dell’America. Essa amplia, infatti, gli scambi commerciali portando così ad un allargamento e miglioramento delle reti di trasporto. Questo sviluppo subisce una forte "impennata" con la rivoluzione elettrica già alla fine del 1800, quando tale energia iniziava ad essere trasportata con facilità e all’inizio del 1900, quando, grazie ad essa, nasce una società basata su macrosistemi, fino a giungere al giorno d’oggi, alla rete, a Internet.

Un’altra premessa importante, e collegata strettamente alla rivoluzione elettrica, che ha permesso di giungere alla globalizzazione, è appunto il miglioramento delle tecnologie, per esempio, Internet. E’ solo grazie ad Internet infatti, che possono avvenire scambi di valute in termini reali e che questi scambi possono essere sganciati dal controllo dello stato. Così la globalizzazione segna la fine del patto che caratterizzava il Welfare state (stato-lavoro-capitale): lo stato è ridotto al suo ruolo minimo e, cioè, di fornitore di infrastrutture necessarie agli scambi.

Sempre nell’ambito degli scambi finanziari si può facilmente individuare una delle più recenti premesse della globalizzazione: un forte aumento degli scambi monetari nel mercato mondiale, basti pensare che nel 1965 venivano scambiati quindici miliardi di valute mentre nel 1995 quindicimila miliardi di dollari….
Considerazioni generali sulla globalizzazione
di Carlotta Bonsegna

Prima di tutto dobbiamo definire il termine globalizzazione. E' una parola "passpartout" che delinea fenomeni in corso vari e complessi. E', secondo molti studiosi, un processo irreversibile e oggettivo che porta alla formazione di mercati globali, ossia mercati soprattutto finanziari e non , precedentemente basati sul prodotto finito , unificando la società intorno a reticoli economici. Questo processo si è sviluppato in seguito a premesse ben precise , ossia la velocità dello sviluppo tecnologico, della rete, e di internet, e l'incredibile aumento degli scambi monetari nei mercati mondiali delle valute. Essa puo' essere considerata inoltre come un processo di modernizzazione, proprio perchè porta a compimento quelle trasformazioni economiche , politiche e sociali, iniziate due secoli fa con la rivoluzione industriale, e implica vari fattori, come ad esempio, la delocalizzazione del lavoro, ossia l' ampliamento dall' alveo di origine del lavoro in un raggio molto piu' ampio. Ne è esempio tipico la Benetton che con una serie di operazioni ha delocalizzato il lavoro in India, Bangladesh e America Latina. Un altro fattore che caratterizza la globalizzazione è la "competizione globale" per cui il professor Pezzino ha portato un esempio specifico. Infatti la compagnia aerea Swiss Air, per assumere un addetto alle prenotazioni, predilige di gran lunga un ingegnere indiano piuttosto che un europeo in quanto il prezzo del primo è un decimo del secondo. Ma la competizione non è solo globale bensì anche locale in quanto (sempre seguendo l'esempio esposto dal professor Pezzino) un tassista di origine anglosassone di New York teme la concorrenza di un tassista di origine messicana, in quanto le tariffe del secondo sono sicuramente ridotte. La globalizzazione implica sicuramente delle conseguenze, positive e/o negative: una è la povertà ( la cosi' detta povertà globale) come ad esempio in India; un' altra è la distruzione dell' ambiente, come succede in Brasile, in cui la compagnia Mc Donald's compra intere regioni da disboscare, e in cui pascoleranno i bovini che daranno luogo agli hamburger. Sempre la globalizzazione implica in taluni casi forme estreme di "protezionismo", come l' integralismo e il fondamentalismo (in Iran). Ciò perché queste nazioni sono restie ad accettare culture di tipo globale, ma vogliono continuare le loro tradizioni locali. Altra conseguenza è che l' unificazione delle culture, resa possibile dalla tv e da internet, diventa una vera e propria erosione delle culture locali . La globalizzazione contribuisce infine a determinare una politica post guerra fredda, dunque più policentrica.

La globalizzazione come fenomeno economico ha portato alla nascita di una vera e propria ideologia, ossia di teorie che studiano tale fenomeno: esse prendono il nome di globalismo, una sorta di utopia anarchico-mercantile, in quanto delegittima il ruolo dello stato rispetto al mercato e lo riduce a fornitore di infrastrutture per i paesi su cui esercita la propria sovranità. Proprio per questo il globalismo è il vero neo-liberismo del secondo Novecento.


 

Economia e globalizzazione
di Massimiliano Giangarè

La globalizzazione è un processo economico, a detta di molti studiosi, impossibile da arrestare e che coinvolge tutto il mondo.Essa ha come fine ultimo quello di creare un mercato finanziario globale in cui transitano grandi capitali. Affinché ciò possa avvenire deve esserci però la presenza di mezzi tecnologici ad esempio internet, cioè una grande rete finanziaria in cui circolino virtualmente enormi quantità di denaro. Con la globalizzazione è variato anche il processo di produzione delle merci. Infatti si è passati dal fordismo ( per cui prima si producevano in stock le merci e poi si vendevano), al modello giapponese (per cui prima viene prenotato il pezzo che poi viene prodotto secondo esigenze individuali ). Sempre a causa della globalizzazione si è giunti ad una delocalizzazione del lavoro. Ciò avviene quando un prodotto viene assemblato o lavorato in diverse parti del mondo. Un esempio esplicito è quello dell'azienda Benetton, che fa lavorare i suoi capi in India, dove la manodopera costa molto meno. L'espandersi di questo processo economico corrisponde all'arricchimento di alcune aree geografiche e di una parte della popolazione. Infatti, in una ricerca compiuta negli Stati Uniti, si è evidenziato come la popolazione possa essere suddivisa in 4 fasce: la prima più ricca che continuerà ad arricchirsi, di cui fanno parte ingegneri, avvocati, impresari, la seconda e la terza che possono aumentare e diminuire il loro capitale, e la quarta, più povera, destinata ad impoverirsi. Nonostante questi dati piuttosto chiari , il fenomeno "Globalizzazione" è molto complesso, in quanto con esso sono state abbattute le frontiere e sono sorti o si sono evidenziati problemi di origine etnico-religiosa , come per esempio il fondamentalismo, l'integralismo islamico e altre forme di ricerca di identità che si contrappongono all’omologazione. Un ulteriore aspetto che va sottolineato è quello derivante dalla disponibilità economica di uno stato che, per poter stare dentro a tale processo, deve avere una ricchezza interna superiore ai 30.000 dollari di reddito pro capite annui.


 

Il fenomeno globalizzazione
di Luisa Tamberi

La globalizzazione è un processo economico che crea mercati a livello mondiale, i così detti "mercati globali", e che riguarda soprattutto il mercato finanziario rispetto a quello del prodotto finito.

Questo fenomeno è caratterizzato da premesse di tipo tecnologico: la nascita di una rete globale, di internet ha incrementato e facilitato lo scambio di valute in tempi reali.

I diretti partecipanti al mercato globale sono le imprese multinazionali che diventano globali, cercando di tenere il passo in questo grande processo di modernizzazione e di unificazione mondiale. Proprio le imprese hanno dato luogo in questo contesto al fenomeno di delocalizzazione che consiste nell’usufruire di forza lavoro a basso costo in "paesi sottosviluppati" : per esempio la Nike nelle sue filiali a Taiwan paga un operaio un decimo di quello che pagherebbe un operaio di una nazione "sviluppata".

La globalizzazione ha portato molti cambiamenti significativi anche nell' organizzazione del lavoro, come ad esempio il passaggio dal fordismo al modello giapponese: la produzione non si impone più sul mercato determinandolo uniformemente ma è il cliente che sceglie, contratta e decide. Non vi è più per esempio la produzione di macchine in serie, ma la produzione è finalizzata a rispondere alle richieste di un singolo consumatore.

La globalizzazione è però possibile per tutti quei paesi che sono in grado di tenerne il passo ( con reddito di 30000 dollari all'anno pro capite e non inferiore) : ad esempio il Giappone e gli USA. Vi sono tuttavia altri paesi che, come ad esempio la Cina, hanno un reddito inferiore ma cercano, evolvendosi e ammodernizzandosi, di "globalizzarsi", cioè di entrare in questo grande processo che non ha le porte chiuse ma aperte a chiunque però possa seguirne il passo.


 

La globalizzazione e lo stato: crisi dello stato nazione e difficoltà della sostituzione di esso

di Gian Luca Loreti

 

Soprattutto da trent’anni a questa parte, la globalizzazione ha avuto un peso fondamentale nella definizione della politica mondiale e statale. L’ideologia di fondo nella quale il processo economico trova la sua teorizzazione, il globalismo, ritiene che il ruolo dello stato sia circoscrivibile a quello di fornitore di infrastrutture, eliminando qualsiasi possibilità di esso di poter controllare l’irreversibile processo di unificazione verso un mercato mondiale. E’ chiaro, quindi, che lo stato-nazione entra in crisi rimanendo escluso e vedendo via scemare il monopolio sul mercato e sull’economia che lo aveva caratterizzato nel Welfare state. La tipologia di governo e controllo dell’economia implicate dal Welfare cadono in una crisi irreparabile perché il costituirsi di una nuova divisione internazionale del lavoro e del mercato complessivo eliminano la relazione tra stato-capitale-lavoro, caratteristico di uno stato interventista e "provvidenziale" come quello teorizzato da Keynes e regolato in economia da un "capitalismo democratico". I teorici della globalizzazione ritengono che lo stato sia un ostacolo al regolare e continuo scambio di merci nel mercato globale. Oggi si può, tuttavia, parlare di mercato globale solo per quanto riguarda l’aspetto produttivo e finanziario perché, non essendoci stata anche una globalizzazione delle istituzioni, viene a mancare un cittadino globale, un consumatore globale e quindi un mercato globale inteso come luogo vero e proprio di scambio. La delegittimazione dello stato conseguente al processo di globalizzazione è comunque sostenibile ancora per poco. Infatti una volta che si saranno consumati i serbatoi di potere di acquisto che si sono costituiti con il capitalismo e l’industrializzazione degli anni ’60, i teorici della globalizzazione saranno costretti a legittimare nuovamente lo stato come ente di pieni poteri nell’ambito della politica. Solo grazie alla politica e agli stati allora sarà possibile ottenere un nuovo reddito utile per un’ulteriore espansione. Per risolvere questa complicata situazione, Giddens ha proposto una terza via, il Glocalismo, intendendo con questo termine uno stato transnazionale. Dovrebbe cioè svilupparsi l’asse locale-globale, in modo che in uno stato sovrannazionale, a livello politico e quindi economico, possano mantenersi intatte le identità culturali locali intese in maniera non chiusa ma nella prospettiva aperta di una dimensione mondiale.


 

La Globalizzazione: punto di arrivo di processi precedenti

di Carlo Montaperto

La Globalizzazione è un processo sicuramente ancora in via di sviluppo e, proprio per questo, esistono molti dubbi su quello che sarà il punto d’arrivo di esso: molti lo giudicano irreversibile, altri no; tuttavia possiamo delineare con sufficiente sicurezza i precedenti che lo hanno innescato.

Alcuni teorici, come Wallerstein, ritrovano le radici della Globalizzazione già nel 1500 con la scoperta dell’America e la presa d’atto da parte dell’uomo europeo dell’esistenza di nuovi prodotti e soprattutto nuovi ricchi territori.

Sicuramente il ‘500 ha spianato il terreno, nelle menti umane, per una visione più globale del mondo ma, probabilmente, le prime vere fondamenta per la G. e più in generale, per la società moderna, sono state poste con la prima e soprattutto con la seconda rivoluzione industriale ( fra fine Settecento e fine Ottocento)

E’ proprio con questa tappa infatti che abbiamo scoperte fondamentali su cui si basa tuttora la società moderna: l’uso del carbone come energia e , successivamente la possibilità di ricavare energia dal petrolio, risorsa naturale abbondante in molte regioni del mondo, sono esempi di ciò.

Tale innovativa scoperta, se associata a quella dell’elettricità, costituisce i cardini delle industrie moderne e, sempre a proposito del greggio, la costruzione di riserve petrolifere nazionali (come negli U.S.A..) e scambi commerciali solo con pochi paesi (gli stati arabi e nordafricani) che avrebbero poi detenuto il monopolio di tale prodotto.

Bisogna anche ricordare che negli anni della prima e della seconda rivoluzione industriale gli stati-nazione avevano uno importanza centrale ovunque e soprattutto nel mondo occidentale : essi, in un certo senso, si rivelarono il più grande impedimento per la delocalizzazione del lavoro al di fuori dei confini statali, ovvero un passo fondamentale per la Globalizzazione, anche se spesso favorirono l’esodo della mano d’opera nazionale.

Proprio questo passo si ebbe con gli anni’60 del Novecento e la fine della guerra fredda; nascevano allora delle imprese che in breve sarebbero state chiamate MULTINAZIONALI: esse individuano quale punto forte delle loro "strategie di produzione" proprio la delocalizzazione del lavoro verso altri stati in cui la manodopera era (ed è tuttora) a basso costo.

Si inizia allora ad usare mezzi di telecomunicazione che avevano i loro antecedenti nel telegrafo, telefono, antenati ormai lontani delle fibre ottiche e Internet; a proposito delle comunicazioni, assai significativo è stato il commento rispetto alla potenza della televisione del sociologo Mac Luhan il quale , a proposito della guerra del Vietnam, definita come la prima ad essere stata interamente trasmessa in tutto il mondo grazie appunto al mezzo televisivo, ha detto che appunto ciò rendeva il mondo "UN VILLAGGIO GLOBALE" cui si poteva accedere premendo un tasto.

In conclusione, per riassumere la storia della Globalizzazione, si può dire che: nel 1500 l’uomo acquisiva per la prima volta una visione globale della sua posizione nel mondo, con la seconda rivoluzione industriale ,che rafforzava le premesse della prima, gettava le fondamenta, o meglio le infrastrutture, per un mercato più globale. Infine dopo gli anni’60 del Novecento si ha l’effettiva nascita di un mercato globale grazie alle nuove vie di comunicazione multimediale, vera e propria arma per svincolare il mercato dal controllo degli stati-nazione che sono andati così in crisi, anche a causa di una situazione politicamente assai diversa da quella precedente.



La Globalizzazione, il Welfare State, la crisi di esso e le nuove realtà transnazionali
di Alessandro Palma

La Globalizzazione è quel processo economico che parte dalla creazione di mercati globali delegittimando di fatto il ruolo dello Stato . Lo Stato- nazione infatti è considerato dai teorici del Globalismo come un ostacolo alla libera circolazione dei flussi finanziari e di merci. Uso l’aggettivo finanziari perché caratteristica fondamentale del fenomeno in questione è la quasi esclusiva circolazione di questo tipo di capitali "virtuali", che hanno portato alla quasi totale sostituzione dell’intervento statale nelle faccende economiche (la globalizzazione sfugge allo stato anche perché la rete telematica è difficile da controllare). Per quanto riguarda il rapporto tra stato e globalizzazione, e quindi tra politica e economia, il dibattito è tuttora aperto: vi sono opinioni stridentemente contrastanti, rappresentate da 3 illustri pensatori. Il primo è Mayer, teorico del globalismo, che vede con la caduta del muro di Berlino la fine della politica e la fine della storia. Infatti l’estinzione del bipolarismo mondiale, ha testimoniato secondo lui la vittoria del capitalismo che, trovandosi solo sulla scena mondiale, si è esplicato nella sua estremizzazione: l’esigenza di un mercato globale non deve guardare altro che al suo scopo . Ciò comporta la sparizione del contratto tra stato – operai – capitale, cosa che ha contraddistinto l’epoca del Welfare. Questa eliminazione della politica, secondo Mayer, porterebbe alla fine del dibattito politico e alla fine delle guerre mondiali. Si arriverà di conseguenza a una situazione di anarchia mercantile. Ma, attenzione, che la sparizione dello stato nazionale porterebbe alla scomparsa della globalizzazione stessa perché la globalizzazione non ha ancora un mercato globale e si appoggia ai mercati nazionali vivendo per mezzo del consumo delle singole nazioni. Questo è ben chiaro se pensiamo alla teoria dei consumi sostenuta ben orima di oggi da Keynes, teorico del welfare state, sinonimo di capitalismo democratico e stato interventista. Questo sistema statale interviene in economia ponendole limiti, evitando così che il capitalismo, lasciato solo, arrechi dei danni irreparabili. Per salvaguardare gli interessi della classe potenzialmente più esposta ai rischi derivati dalla globalizzazione, il Welfare interviene attraverso la promulgazione di "soccorsi pubblici", tendenti a migliorare condizioni di indigenza, come, ad esempio, sostenendo opere pubbliche (capaci di offrire lavoro e creare infrastrutture). Sempre su questa linea, lo Stato sociale, come dice il nome stesso, assicura servizi a cui non si può rinunciare come la previdenza e la sanità .Purtroppo questo tipo di sistema politico economico,che ha contraddistinto l’occidente nel secondo cinquantennio del novecento, non è riuscito a sopravvivere, a causa del suo costo, in un mondo estremamente liberista in cui è anacronistico ad esempio uno stato che interviene per mezzo di dazi, dogane e calmieri.

Ad intraprendere una terza via, in verità che si avvicina però all’utopia, è Giddens il quale vede la necessità di un organismo politico transnazionale che mantenga tuttavia i particolarismi culturali locali e non porti all’imposizione di un modello unico.


 

La globalizzazione.
di Elisa Parentini

La globalizzazione è quel fenomeno che porta alla creazione di un mercato globale principalmente caratterizzato da aspetti finanziari: essa si rifà ad un modello predominante, cioè quello occidentale.Tale fenomeno, però, non è totalmente nuovo: infatti si può definire come il risultato di processi precedenti.

Iniziate già nel 1500 (con la scoperta dell’America) queste premesse incontrarono alla fine del ‘700 e nel 1800 (rivoluzione industriale) un’ ulteriore spinta in avanti determinata dalla nascita del capitalismo prima industriale e poi finanziario , dall’ampliamento sia delle vie di comunicazione sia dei commerci agevolato ad esempio dalla scoperta della macchina a vapore. Nell’ideologia che si affermava, fondamentale era il ruolo dello stato -nazione come entità non solo a carattere politico ma anche in quanto mediatore verso l’economia perché controllava proprio l’economia e l’allargamento degli orizzonti e dei traffici con i mondi diversi da quello occidentale .

La globalizzazione, però, per nascere aveva bisogno soprattutto di rapidità e facilità di scambi rese possibili con la rivoluzione elettrica della fine dell’800 e molto più tardi con l’avvio dell’informatica invenzioni che, se in un primo momento erano funzionali solamente alle comunicazioni, nel ‘900 maturo diventeranno un mezzo fondamentale per l’economia.

L’incremento dei flussi finanziari è confermato dai dati statistici che vedono, nel giro di un ventennio (1975-1995), uno scambio di beni liquidi che va da 15mld a 15000mld di dollari. Il fenomeno della globalizzazione vede quindi, anche con la nascita del "reticolo" (internet) e con organismi soprannazionali (quali la CEEàUE, NATO ecc…), una delegittimazione progressiva del ruolo dello stato nazione, che prima aveva avuto un ‘importanza vitale. Dunque viene man mano delegittimato il concetto di Welfare state, ovvero di "capitalismo democratico", in cui lo stato (da dopo il 1929) deve garantire "soccorsi pubblici", gli aiuti pensionistici, sociali ed economici al cittadino.Questo concetto, approfondito da Keynes, sembra infatti limitare la libertà e l’ampliamento dell’economia nel mondo globalizzato. Però il Welfare con la sua forma di protezionismo sociale, se da un lato mina i traguardi della globalizzazione, dall’altro cerca di mantenere per lo stato una fisionomia propria, un’identità che va pian piano deteriorandosi nel processo di globalizzazione.E’ per questo che Mayer afferma come, andando avanti in questo senso, si arriverà alla morte della politica, perché in un reale mondo globalizzato, lo stato si deve solo limitare a fornire infrastrutture mettendo al centro di tutto i criteri di libera espansione dell’economia.


 

Globalizzazione: aspetti economici
di Lucia Saia

Con globalizzazione si intende in primo luogo quel fenomeno economico che contribuisce alla formazione di un mercato finanziario globale, fenomeno sì economico, ma che ha certamente parecchie ripercussioni anche sulla vita politica dello stato. Ma in questa sede mi limiterò ad analizzare l’aspetto più propriamente economico, toccando i principali punti, quali quello del lavoro e della conseguente situazione economica dell’individuo.

Alla base della globalizzazione sta certamente l‘aumento su scala mondiale degli scambi finanziari, nel corso degli ultimi decenni; questo è stato reso possibile, o almeno sicuramente agevolato, dallo sviluppo di tecnologie multimediali quali Internet che , tra l’altro, grazie alla sua straordinaria virtualità, ha reso più libera la finanza dal controllo statale. Ma la finanza è sempre più slegata, quasi paradossalmente, dalla stessa produzione: si tratta ormai di una speculazione su capitali virtuali, su quotazioni in borsa di aziende il cui valore azionario è di gran lunga superiore a quello reale.

Comunque, al contrario di quanto si possa evincere da questi dati, la globalizzazione interessa anche piani ben più materiali di quello finanziario, quale, in primis, quello lavorativo. Le grandi multinazionali, aziende come la Nestlè, la Nike, la McDonald, che hanno sedi dislocate in più stati nei vari continenti, sono l’emblema della globalizzazione: queste grandi aziende che superano le barriere delle distanze grazie ai mezzi tecnologici (Internet) e al progresso avvenuto nel campo dei trasporti, hanno creato un mercato globale sia tra le loro stesse filiali che tra i vari gruppi, influenzando e le filosofie di governo statali e lo stile di vita del singolo cittadino. Quest’ultimo è inoltre molto condizionato dalla delocalizzazione del lavoro che le multinazionali attuano verso quegli stati dove la manodopera costa meno, creando concorrenza e, complementarmente, in certi campi, disoccupazione nei paesi Occidentali. Comunque le multinazionali offrono negli stati avanzati molte occasioni lavorative in quei campi in cui è indispensabile una maggiore specializzazione, e ciò spiega come mai ci siano in Europa aree dove il livello di disoccupazione è più elevato che in altre , ma in questo specifico caso non sono trascurabili il contesto sociale-storico del luogo.

Comunque le multinazionali sono anche condizionate esse stesse dallo stile di vita della popolazione per quanto riguarda le strategie di marketing: in reazione a questo sempre più crescente bisogno di raggiungere l’orizzonte globale, stanno nascendo, infatti, dei sentimenti locali e individuali che obbligano le grandi imprese ad agire secondo il principio "Think global, act local", intendendo una produzione globale collegata ad una strategia di marketing locale e personalizzata. Cade così il mito del fordismo a favore del toyotismo: non più automobili prodotte in serie, non più l’imposizione di uno standard, ma create su precisa richiesta del compratore. Cresce così la disoccupazione nel campo delle catene di montaggio, mentre si mantiene e delinea la figura dell’imprenditore ( ciò non significa che aumentino però gli imprenditori) . Questo è ben ricollegabile con la teoria di alcuni studiosi che suddividono la società in quattro parti: imprenditori e liberi professionisti, dipendenti pubblici, addetti alle comunicazioni e, infine, la fascia più numerosa dei dipendenti alla catene di montaggio. Il reddito individuale varia molto tra le classi, ed è molto difficile passare dall’una all’altra. Secondo i dati raccolti, la globalizzazione causa comunque un aumento del reddito, anche se il divario tra quello della fascia ricca e quello della fascia povera, seppur diminuendo, rimane molto alto e , soprattutto, le fasce medio basse sembrano destinate a scendere mentre quelle medio alte, ma soprattutto quelle alte, destinate a salire. E, su questo punto, si possono registrare opinioni contrastanti sia tra gli studiosi che tra la gente comune: il fatto che il reddito della fascia più ricca superi di settanta volte quello della fascia più povera è considerato una vergogna da una parte degli studiosi, come un progresso da altri, che lo confrontano con il distacco più netto (120:1) degli anni Settanta.

Risulta quindi molto difficile farsi un’opinione, ma anche analizzare questo processo, sia perché è tuttora in atto, sia perché presenta aspetti positivi complementari a quelli negativi.