Documento
sulla Vita Indipendente
A
cura di DPI-Italia
Definizione di vita indipendente
La Vita Indipendente è un comportamento ed un modello di
vita che noi, persone con disabilità,
in modo sempre più diffuso, non solo rivendichiamo, ma stiamo costruendo mettendo in campo le nostre risorse e
capacità.
Vita Indipendente vuol dire essere protagonisti della
propria vita, avocando a sé, non solo il diritto, ma la possibilità concreta
di:
Scegliere
Sia che si tratti di scelte di fondo, come il lavoro, gli
affetti, il modo di vivere, sia nella gestione del quotidiano: quando alzarmi o andare a dormire, da chi
farmi assistere, con chi uscire, che cosa comprare al supermercato. Questo
consente di operare a partire delle personali esigenze e convinzioni e non
sulla base di un atteggiamento di rinuncia, storicamente considerato “normale”
per le persone con disabilità.
Decidere
La condizione di
dipendenza ha comportato spesso che la vita di molte persone con disabilità,
che pure avrebbero piena capacità di autodeterminarsi, venisse affidata ad
altri con la funzione di tutelarli.
Questo sì che è un grave handicap, che mortifica
l’autostima e a lungo andare rende la persona realmente incapace di assumersi
delle responsabilità.
Vita Indipendente significa riappropriarsi della dimensione
di responsabilità
Progettare
La condizione di disabilità è stata vista dalla cultura
dominante come fissa ed immutabile nella sua negatività. La vita di tante
persone che, come tutti, realizzano nel tempo le mete che si sono prefissate:
la casa, il lavoro, la famiglia, il successo, gli obiettivi personali ecc.
dimostra che disabilità non vuol dire sconfitta, ma può benissimo coniugarsi
con la realizzazione dei propri desideri ed aspirazioni.
In realtà le nostre esigenze non sono diverse da quelle di
ogni altra persona e sono perfino scontate, eppure ancora appaiono come
straordinarie.
In
altri termini la nostra sfida non è “altro” rispetto alla condizione comune, e
quello che appare “straordinario” allo sguardo esterno è, per chi lo vive,
l’unica soluzione possibile, per esserci, in coerenza con quanto si è e si
vuole.
La vita
indipendente in Italia
Finora,
quindi, la Vita indipendente è stata
soprattutto una pratica di vita ed un atteggiamento.
In
Italia, dal punto di vista normativo, i primi accenni alla Vita Indipendente
della persone con disabilità, trovano riscontro nell’art. 39, comma 2, della
Legge 104/1992, e successivamente nella Legge 21 maggio 1998, n. 162 "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992,
n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap
grave" (Pubblicata in G.U. 29 maggio 1998, n. 123) che specificamente
mira “a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita
indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione
dell'autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali
della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di
realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta,
anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta,
con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia». L'approvazione
della Legge 328/2000 ha introdotto i progetti individuali (art. 14) che devono
definire l'insieme dei bisogni e dei servizi che devono essere messi in campo
per garantire i diritti delle persone con disabilità.
Sia la
legge 162/98 sia l'art. 14 della legge 328/2000, soprattutto nelle regioni del
sud, sono stati letteralmente disattesi ed ignorati dai governi regionali,
molti dei quali non l’hanno neanche recepite. In alcune realtà, i fondi
nazionali destinati a tale scopo, sono confluiti nei piani sociali di zona o in
progetti che quasi sempre nulla hanno a che fare con la Vita Indipendente, da
qui la necessità di riaprire il dibattito su questo tema fondamentale per la
vita di tantissime persone con disabilità.
Ed è
per questo che si pone ora l’esigenza di dare coesione ad esperienze alquanto
diversificate sul territorio nazionale, creando un movimento unitario che possa
elaborare una strategia di iniziative finalizzate al riconoscimento del diritto
ed alla conseguente diffusione di servizi e strumenti che consentano a tutte le
persone con disabilità che lo vogliano, di poter vivere in modo autonomo ed
indipendente.
Tale
strategia deve porsi, a nostro avviso, come obiettivo prioritario, quello di
superare l’attuale sperequazione tra le
diverse regioni che determina gravi discriminazioni rispetto all’esigibilità
del diritto, a seconda del territorio di residenza.
Questo
documento, in vista della prossima conferenza nazionale che si terrà a Roma nei
primi giorni di ottobre, vuole offrire un contributo al dibattito che si va
sviluppando ed una serie di proposte a cui ancorare la strategia italiana in
materia. Si intende sottolineare che con tali proposte ci poniamo nell’ottica
di un confronto aperto che, partendo dalla condivisione e valorizzazione delle
diverse esperienze, possa giungere ad una sintesi in cui ognuno riconosca negli
apporti diversi, non una perdita di un’identità acquisita, ma un ampliamento
delle possibilità e dei livelli di intervento, al fine di arricchire le
esperienze in atto e le prospettive future.
Il dibattito internazionale
Il punto di riferimento obbligato in questo campo è la
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità approvata il 13 dicembre
2006 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Molti paesi l'hanno sottoscritta il 30 Marzo 2007 (tra cui l’Italia) e
conseguentemente verrà avviato il processo di ratifica.
La Convenzione è un
punto di arrivo di una lotta decennale delle Organizzazioni di persone con
disabilità per il riconoscimento dei propri diritti. Essa afferma che tutelare
i diritti delle persone con disabilità significa prima di tutto tutelare i loro
diritti umani riconoscendo, pertanto, la vita indipendente quale “diritto
umano”. Tutelare e attuare i diritti umani delle persone con disabilità
significa garantire loro che nessuno sia trattato in modo discriminatorio sulla
base di una condizione di disabilità e che gli stati debbano proibire ogni
discriminazione, garantendo una tutela legale (art. 5) e nel caso accomodamenti
ragionevoli.
In questo quadro
culturale e legale di riferimento, si inserisce l'art. 19. Intanto il titolo
dell'articolo, Vita indipendente ed inclusione nella comunità, lega fortemente la vita indipendente al superamento delle
pratiche istituzionalizzanti e segregative. Anche le Comunità europee,
nell'iniziativa in questo campo, fanno riferimento al Community Living, consapevole
che nei paesi comunitari vivono più di 500.000 persone con disabilità in 2.500
mega-istituti (progetto “Included in society”, 2004). L'art. 19 della
Convenzione impegna gli Stati che la ratificheranno a riconoscere “l’eguale
diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella comunità, con la
stessa libertà di scelta delle altre persone”, ed a prendere “misure efficaci e
appropriate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con
disabilità di tale diritto e della piena inclusione e partecipazione all’interno
della comunità”. Questo necessita che gli Stati assicurino che: “le persone con
disabilità abbiano la possibilità di scegliere, sulla base di eguaglianza con
gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano
obbligate a vivere in una particolare sistemazione abitativa” ed “abbiano accesso ad una serie di servizi di
sostegno domiciliare, compresa l’assistenza personale necessaria per permettere
loro di vivere all’interno della comunità e di inserirvisi e impedire che esse
siano isolate o vittime di segregazione”; infine gli Stati devono assicurare
che “i servizi e le strutture della comunità destinate a tutta la popolazione
siano messe a disposizione, su base di eguaglianza con gli altri, delle persone
con disabilità e siano adatti ai loro bisogni”.
Al diritto alla
vita indipendente ed inclusione nella comunità si lega strettamente l'art. 20
(Mobilità personale) che impegna gli Stati a “prendere misure efficaci ad
assicurare alle persone con disabilità la mobilità personale con la maggiore
indipendenza possibile”, in modo da: “facilitare la mobilità personale delle
persone con disabilità nei modi e nei tempi da loro scelti ed a costi
sostenibili; agevolare l’accesso da parte delle persone con disabilità ad
ausili per una mobilità di qualità, a strumenti, a tecnologie di supporto, a
forme di assistenza da parte di persone o d’animali addestrati e di mediatori
specializzati, rendendoli disponibili a costi sostenibili; fornire alle persone
con disabilità e al personale specializzato che lavora con esse una formazione
sulle tecniche di mobilità; incoraggiare gli enti che producono ausili alla
mobilità, strumenti e accessori e tecnologie di supporto a prendere in
considerazione tutti gli aspetti della mobilità delle persone con disabilità”.
Infine va tenuto conto dell'”universalità,
l’indivisibilità e interrelazione di tutti i diritti umani e delle libertà
fondamentali e la necessità da parte delle persone con disabilità di essere
garantite nel loro pieno godimento senza discriminazioni”, collegando gli
articoli 19 e 20 a tutti gli altri diritti (ed articoli).
E' evidente che l'impostazione dell’art. 19 è il
quadro culturale di approccio alla vita indipendente delle persone con
disabilità.
Conformemente alla Dichiarazione di Tenerife
sulla vita indipendente (2003), a cui hanno contribuito teorici del movimento
come Colin Barnes e John Evans, che è
il documento di riferimento più calzante, ed al documento di richieste della
rete dei Centri per la vita indipendente americani (2006), la Convenzione
sottolinea:
-
l’eguale diritto di tutte le persone con
disabilità a vivere nella comunità, con la stessa libertà di scelta delle altre
persone: stessa libertà in tutti i campi;
-
la stretta connessione tra vita indipendente e
percorsi di prevenzione dell'istituzionalizzazione e di
de-istituzionalizzazione;
-
l'accesso ad una serie di servizi di sostegno
domiciliare, residenziale compresa l’assistenza personale necessaria per
permettere loro di vivere all’interno della comunità;
-
l'accessibilità e fruibilità dei servizi e delle
strutture della comunità destinate a tutta la popolazione, su base di
eguaglianza con gli altri.
Altro elemento
essenziale per garantire la vita indipendente è l'empowerment delle
persone con disabilità. Infatti a causa dell'esclusione sociale, attraverso
trattamenti discriminatori e mancanza di pari opportunità, le persone con
disabilità sono state impoverite di diritti e di competenze, rendendo
vulnerabile la loro stessa autostima e capacità di affrontare la vita. Questo
significa che la società è doppiamente responsabile, per l'esclusione sociale e
per l'impoverimento di capacità ed opportunità. Essenziale, quindi, è
promuovere azioni di empowerment delle persone con disabilità che
permetta loro di accrescere il livello di autostima e di capacità per
affrontare una vita indipendente.
L’attività di
empowerment è quindi finalizzata principalmente a promuovere:
a)
la capacità di riconoscere le
proprie esigenze ed i propri bisogni;
b)
la capacità di rappresentare
le proprie esigenze ed i propri bisogni;
c)
la conoscenza degli strumenti
attraverso i quali conseguire, sostenere e potenziare la propria autonomia ed
autodeterminazione.
Ricordiamo che la
parola empowerment in inglese significa da un lato rafforzare le
capacità e le competenze e dall'altro lato prendere potere. Non a caso la
Convenzione si occupa di empowerment proprio all'art. 26 dove impegna
gli Stati a prendere “misure efficaci e appropriate, tra cui il sostegno tra
pari, per permettere alle persone con disabilità di ottenere e conservare la
massima autonomia, la piena abilità fisica, mentale, sociale e professionale, e
di giungere alla piena inclusione e partecipazione in tutti gli ambiti della
vita”. Perciò gli Stati “organizzeranno,
rafforzeranno e estenderanno servizi e programmi complessivi per l’abilitazione
e la riabilitazione, in particolare nelle aree della sanità, dell’occupazione,
dell’istruzione e dei servizi sociali”. Da qui emerge con forza la necessità
che il movimento si doti di strumenti di empowerment, come la consulenza
alla pari, una rete di informazione ed orientamento positivo. Questo è
possibile attraverso la diffusione dei centri per la vita indipendente.
Costruire la vita indipendente
L’esperienza e la
riflessione maturata in questi anni ci hanno resi consapevoli che l’indipendenza è un processo complesso
che chiama in causa la persona e il suo contesto a vari livelli: riguarda il
mondo soggettivo ed intrapsichico, le relazioni personali e sociali, la disponibilità
di servizi e strumenti. L’assistenza personale è una condizione basilare, senza
di essa non è possibile essere liberi, ma da sola non basta per esserlo. Se
l'obiettivo è quello di coinvolgere tutte le persone con disabilità che vivono
condizioni di dipendenza, discriminazioni e mancanza di pari opportunità,
dobbiamo far crescere la consapevolezza, rafforzare le capacità e offrire gli
strumenti appropriati per raggiungere le migliaia di persone che oggi sono
totalmente escluse anche solo dalla possibilità di pensare una vita
indipendente.
La vita
indipendente è quindi sia un percorso individuale di consapevolezza e di
crescita personale, sia la possibilità di accedere a beni e servizi di
sostegno, sia la possibilità di avere accesso alla società senza pregiudizio e
senza ostacoli e barriere, in condizioni di pari opportunità con gli altri.
Sul piano delle
politiche sociali il nuovo approccio basato sulla vita
indipendente comporta alcuni elementi innovativi, quali:
·
Partecipazione, secondo quanto previsto dall'articolo 4 comma 3 della
Convenzione :
“Nello sviluppo e nell’applicazione della legislazione e delle
politiche atte ad attuare la presente Convenzione, come pure negli altri
processi decisionali relativi a temi concernenti le persone con disabilità, gli
Stati Parti si consulteranno con attenzione e coinvolgeranno attivamente le
persone con disabilità, compresi i bambini con disabilità, attraverso le loro
organizzazioni rappresentative.”
E dalle Regole Standard per le Pari Opportunità delle
Persone con Disabilità, norma 18: “Gli
Stati dovrebbero riconoscere alle organizzazioni di persone con disabilità il
diritto di rappresentare le persone con disabilità a livello nazionale,
regionale e locale. Gli Stati dovrebbero anche riconoscere alle organizzazioni
di persone con disabilità la loro funzione consultiva per le decisioni su
questioni riguardanti la disabilità.”. Questo produce lo sviluppo di
servizi sempre più personalizzati e orientati sui bisogni.
·
Progettualità, elemento che permette: di strutturare i servizi sulla base
delle priorità e delle necessità di ogni persona e delle risorse presenti,
nonché di monitorarli e valutarli; di gestire gli interventi basati su progetti
individuali, sul modello italiano definito all’art. 14 della Legge 328 del 2000
“Legge quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
·
Attenzione alla
domanda, per cui l’organizzazione
degli interventi e delle politiche, tradizionalmente centrate sull’offerta,
ossia sugli interessi e le pressioni degli enti gestori in quanto fonti di
lavoro - istituti di riabilitazioni, organizzazioni di professionisti,
cooperative ed associazioni -, viene a spostarsi sulla domanda, ossia sui
bisogni reali di cui si acquista sempre maggiore consapevolezza. In tale
direzione vengono pertanto indirizzate le risorse e si modifica la stessa
tipologia dei servizi, sempre più “prossimi” alla persona.
·
Diritto di scelta, per il quale il fruitore del servizio è “cittadino” e “cliente”, più che utente o assistito, e deve essere
garantito nel rispetto dei propri diritti umani e può scegliere il miglior
sistema di servizi, che incontri i suoi bisogni, e lo stesso fornitore di
servizi.
Per esprimere le
implicazioni che il processo di indipendenza comporta, DPI Italia ritiene di
dover far riferimento ad altri concetti che fortemente vi si intrecciano:
Autonomia. Tutti i figli, in un periodo
determinato della loro vita, sentono di doversi autonomizzare
dalla famiglia
di provenienza costruendosi spazi di vita, ruoli sociali, relazioni
interpersonali, esterne alle relazioni parentali, dove poter vivere esperienze
di confronto su temi essenziali per la crescita di ognuno: amicizia, affetti,
sesso, lavoro e via continuando. Tale processo di autonomia – comune a tutti i
figli che diventano potenziali padri e madri – non ha, certo, un carattere
lineare, bensì è punteggiato da tensioni, scontri e lacerazioni che ogni volta
caratterizzano inevitabilmente la separazione di una persona dalle figure
genitoriali o da figure equivalenti. Infatti il processo di autonomizzazione
riguarda tutte le relazioni affettive di dipendenza da persone significative,
che nel corso della vita di ognuno possono rappresentare figure “di
rassicurazione” a cui affidare in modo improprio le proprie sicurezze. Il
livello di affidamento delle proprie sicurezze ad altre persone varia da
persona a persona e secondo le età.
Autodeterminazione. L’autonomia è collegata alla capacità della persona di
autodeterminarsi,
cioè di volere e saper scegliere ed alla progressiva assunzione di responsabilità rispetto alle conseguenze che
queste scelte comportano. Risulta chiaro che questo processo, più o meno lungo,
è correlato alla capacità di costruire
relazione esterne alla famiglia e superare il pregiudizio (che diventa spesso
convinzione nella stessa persona con disabilità), che vuole la persona con
disabilità sempre dipendente da qualcuno. In sintesi si può
dire che l’autonomia e la capacità di autodeterminarsi sono i primi passi per
poter vivere esperienze di indipendenza.
Indipendenza. Il primo livello di
indipendenza in genere è quello di compiere autonomamente le attività della vita quotidiana, in senso generale si tratta
di scegliere e gestire il progetto di vita personale. In questo caso vi sono
condizioni esterne che possono permettere un più facile conseguimento di questo
obiettivo, come condizioni economiche favorevoli, disponibilità di risorse sul
territorio, etc.. È evidente, però, che queste attività dipendono anche – ed in
maniera rilevante – da scelte personali. Così viaggiare (per
vacanze e/o tempo libero), conseguire la patente di guida, gestire una
casa propria, costruire una professionalità sono alcune delle attività che portano e fanno vivere
situazioni di indipendenza.
Un altro livello, un’altra ”faccia” dell’indipendenza è la
partecipazione attiva e responsabile alla vita collettiva e sociale, il livello
dell’interazione e della reciprocità. La libertà non abita in un mondo a parte,
ma si nutre del confronto e dello scambio quotidiano con l’altro da sé
attraverso i processi comunicativi, il
lavoro, il tempo libero e tutti i momenti che ci vedono, per nostra scelta,
parte attiva e parte in causa. È lì che scopriamo di essere “interdipendenti”, come ogni elemento
della natura e della società.
A livello culturale, l’immagine della persona che sceglie
un percorso di vita autonoma ed indipendente sconvolge lo stereotipo finora
radicato nell’immaginario collettivo, quello della persona con disabilità:
passiva, sofferente, bisognosa, dipendente e, talvolta, mette in crisi gli
stessi interlocutori.
I principi della Vita Indipendente, nati da una nuova
visione delle disabilità e promossi inizialmente solo da un gruppo ristretto,
si stanno ora diffondendo tra le
maggiori organizzazioni di persone con disabilità e sono recepiti dai servizi
più avanzati ed innovativi. L’obiettivo è che diventino patrimonio comune e
condiviso tanto che nessun intervento dei Governi, centrali o periferici, possa
più ignorarli.
Le ragioni, fin qui addotte dalle Istituzioni per giustificare una mancata politica per l’autonomia,
si incentrano sulla mancanza di fondi. Facendo una valutazione del rapporto
costi-benefici per i Governi è uno spreco investire in servizi per l’autonomia
in quanto le persone con disabilità non
sono funzionali al sistema economico perché considerate incapaci di produrre.
In realtà, i veri ostacoli sono la mancata razionalizzazione della spesa e
un’altrettanto mancata politica di inclusione delle persone con disabilità.
Le
proposte
Una conferenza nazionale sulla vita indipendente è l’occasione
preziosa per confrontare, condividere e sviluppare riflessioni ed esperienze
maturate sul territorio nazionale ognuna delle quali ha avuto ed ha un
significato specifico, ma è anche l’occasione per individuare una comune
strategia e obiettivi che diano il
giusto respiro culturale e politico alla nostra battaglia per la vita
indipendente.
Per la complessità che contraddistingue tale processo di
indipendenza, DPI Italia suggerisce che il Coordinamento della Vita
Indipendente debba supervisionare sui diversi aspetti che lo compongono:
servizi di empowerment, assistenza personale, mobilità, barriere
architettoniche,
ausili.
Ovviamente, l’assistenza personale ha, in questo percorso, una
priorità indiscussa ma, come già affermato in altra parte di questo documento,
non può da sola rendere liberi ed indipendenti le persone con disabilità.
Queste le
proposte sulle aree su cui intervenire:
-
Istituisca un fondo nazionale di risorse annuali
vincolate e certe
-
Promuova la diffusione omogenea di risorse e
servizi per la vita indipendente in tutte le regioni
-
Preveda l'accesso attraverso l'art. 14 della
legge 328/2000, oltre che attraverso l’applicazione dell’art. 39 bis della
legge 104/92, e della L. n. 162/98, a progetti individuali di vita
indipendente, mediante la gestione
diretta del servizio, da parte dei beneficiari o (e nel caso non possa
rappresentarsi da solo) delle famiglie, con la libera scelta dell'assistente
personale
-
Consideri la definizione del progetto
individuale di cui all'art. 14 della legge 328/2000 un accomodamento
ragionevole, e che la cui negazione sia considerata una discriminazione sulla
base della disabilità, di cui all'art. 2 della Convenzione ONU
-
Preveda la definizione di procedure di
funzionamento del servizio, con criteri e soluzioni che garantiscano la libertà
di scelta delle persone con disabilità sulle forme di assistenza personale
(assistenza indiretta)
-
Nel caso di persone con disabilità psichica non
in grado di auto-rappresentarsi il servizio deve essere garantito comunque ma è
importante prevedere dei vincoli: assistenza diretta, o se è indiretta deve
esserci la clausola che l’assistente non ha gradi di parentela con la persona
da assistere.
E’ possibile avere anche come assistente un familiare purchè tale eventualità venga
definita in ambito di elaborazione del progetto individuale. Un’attenta
valutazione dell’efficacia ed efficienza del servizio e del benessere della
persona dovrà definire, poi, come prevede la normativa, la funzionalità o meno
di questa scelta e del servizio finanziato
- La costituzione di una
commissione di monitoraggio e di valutazione sull’espletamento del servizio.
(Questo ruolo potrebbe essere svolto dal Centro per la Vita Indipendente).
-
Preveda la possibilità di creare centri per la
vita indipendente che possano offrire attività e servizi di supporto per
assistere i beneficiari che ne facciano richiesta nella gestione burocratica e
nella selezione del personale; attività di empowerment territoriali, di
consulenza alla pari, di informazione e orientamento ai beneficiari, di
aggiornamento e formazione per gli assistenti personali; offrano servizi legati
alla vita indipendente quali ricerca della casa accessibile, trasporto,
consulenza sugli ausilii e l'accessibilità, etc..
-
Preveda che i fondi necessari, affinché ogni
persona con disabilità possa realizzare la vita indipendente, non siano erogati
in relazione al reddito della persona stessa (in molte realtà, nonostante la
normativa, il reddito richiesto è ancora quello familiare) ma alle necessità ed
ai bisogni di assistenza, mobilità, ausili, ecc. (in molte Regioni i fondi per
la vita indipendente sono dati alla persona in relazione al suo reddito. Questo
comporta che tutte quelle che lavorano e che il più delle volte hanno maggiore
necessità di assistenza sono svantaggiati).
Infine, ma non per questo
meno importante, la vita indipendente non può rimanere una opportunità per una
elite. Il movimento e la proposta di legge devono avere dietro un consenso diffuso ed il coinvolgimento delle reti di
persone con disabilità e familiari, con le quali è fondamentale dialogare,
confrontarsi e portare avanti una strategia politica comune per raggiungere gli
obiettivi previsti. Anche perché un diritto esigibile non può essere garantito
solo a chi ha voce e strumenti per chiederlo e se puntiamo ad una legge che
obbliga lo Stato, le Regioni e le Amministrazioni locali a garantire gli
interventi, automaticamente, qualora si ottenga un risultato positivo questo
diventa un diritto per tutti ed è importante dare la possibilità a chiunque
voglia: persone e organizzazioni, di partecipare attivamente al processo
politico fin dalla fase preparatoria, alfine di elaborare un’idea comune.
Queste proposte naturalmente non sono esaustive, ma vogliono
contribuire a sviluppare un dibattito maturo sulla vita indipendente .
Per DPI Italia ONLUS
Presidente