Marcia Perugia-Assisi per la pace e
la fratellanza dei popoli
Mozione finale
A conclusione
della Perugia-Assisi, che abbiamo convocato a cinquant'anni dalla prima Marcia
organizzata il 24 settembre 1961 da Aldo Capitini, vogliamo lanciare un nuovo
appello per la pace e la fratellanza dei popoli.
Lo facciamo richiamando il primo articolo della Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani che proclama: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed
eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e
devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza".
La fratellanza dei popoli si basa sulla dignità, sugli eguali diritti
fondamentali e sulla cittadinanza universale delle persone che compongono i popoli.
I diritti umani sono il nome dei bisogni vitali di cui è portatrice ogni
persona. Essi interpellano l'agenda della politica la quale deve farsi carico
di azioni concrete per assicurare "tutti i diritti umani per tutti" a
livello nazionale e internazionale. La sfida è tradurre in pratica il principio
dell'interdipendenza e indivisibilità dei diritti umani - civili, politici,
economici, sociali e culturali - e ridefinire la cittadinanza nel segno
dell'inclusione. L'agenda politica dei diritti umani comporta che nei programmi
dei partiti e dei governi ciascun diritto umano deve costituire il capoverso di
un capitolo articolato concretamente in politiche pubbliche e misure positive.
Il nostro appello per la pace e la fratellanza dei popoli contiene alcuni
principi, proposte e impegni:
Principi
Primo. Il mondo sta diventando sempre più insicuro. Se continuiamo a
spendere 1.6 trilioni di dollari all'anno per fare la guerra non riusciremo a
risolvere nessuno dei grandi problemi del nostro tempo: la miseria e la morte
per fame, il cambio climatico, la disoccupazione, le mafie, la criminalità
organizzata e la corruzione. Se vogliamo uscire dalla crisi dobbiamo smettere
di fare la guerra e passare dalla sicurezza militare alla sicurezza umana,
dalla sicurezza nazionale alla sicurezza comune.
Secondo. Se vogliamo la pace dobbiamo rovesciare le priorità della
politica e dell'economia. Dobbiamo mettere al centro le persone e i popoli con
la loro dignità, responsabilità e diritti.
Terzo. La nonviolenza è per l'Italia, per l'Europa e per tutti via di
uscita dalla difesa di posizioni insufficienti, metodo e stile di vita,
strumento di liberazione, strada maestra per contrastare ogni forma
d'ingiustizia e costruire persone, società e realtà migliori.
Quarto. Se vogliamo la pace dobbiamo investire sulla solidarietà e sulla
cooperazione a tutti i livelli, a livello personale, nelle nostre comunità come
nelle relazioni tra i popoli e gli stati. La logica perversa dei cosiddetti
"interessi nazionali", del mercato, del profitto e della competizione
globale sta impoverendo e distruggendo il mondo. La solidarietà tra le persone,
i popoli e le generazioni, se prima era auspicabile, oggi è diventata
indispensabile.
Quinto. Non c'è pace senza una politica di pace e di giustizia. L'Italia,
l'Europa e il mondo hanno bisogno urgente di una politica nuova e di una nuova
cultura politica nonviolenta fondata sui diritti umani. Quanto più si aggrava
la crisi della politica, tanto più è necessario sviluppare la consapevolezza
delle responsabilità condivise. Serve un nuovo coraggio civico e politico.
Sesto. Se davvero vogliamo la pace dobbiamo costruire e diffondere la
cultura della pace positiva. Una cultura che rimetta al centro della nostra
vita i valori della nostra Costituzione e che sappia generare comportamenti
personali e politiche pubbliche coerenti. Per questo, prima di tutto, è
necessario educare alla pace. Educare alla pace è responsabilità di tutti ma la
scuola ha una responsabilità e un compito speciali.
Proposte e impegni
1. Garantire a tutti il diritto al cibo e all'acqua.
E' intollerabile che ancora oggi più di un miliardo di persone sia privato
del cibo e dell'acqua necessaria per sopravvivere mentre abbiamo tutte le
risorse per evitarlo. Ed è ancora più intollerabile che queste atroci
sofferenze siano aumentate dalla speculazione finanziaria sul cibo,
dall'accaparramento delle terre fertili, dalla devastazione dell'agricoltura e
dalla privatizzazione dell'acqua.
2. Promuovere un lavoro dignitoso per tutti.
Un miliardo e duecento milioni di persone lavorano in condizioni di
sfruttamento. Altri 250 milioni non hanno un lavoro. 200 milioni devono
emigrare per cercarne uno. Oltre 12 milioni sono vittime della criminalità e
sono costrette a lavorare in condizioni disumane. 158 milioni di bambine e di
bambini sono costretti a lavorare. Occorre ridare dignità al lavoro e ai
lavoratori, giovani e anziani, di tutto il mondo.
3. Investire sui giovani, sull'educazione e la cultura.
Un paese che non investe, non valorizza e non dà spazio ai giovani è un
paese senza futuro. La lotta alla disoccupazione giovanile deve diventare una
priorità nazionale. Investire sulla scuola, sull'università, sulla ricerca e
sulla cultura vuol dire investire sulla crescita sociale, politica ed economica
del proprio paese.
4. Disarmare la finanza e costruire un'economia di giustizia.
La finanza, priva di ogni controllo internazionale, sta mettendo in crisi
l'Europa politica e provoca un drammatico aumento della povertà. Bisogna
togliere alla finanza il potere che ha acquisito e ripristinare il primato
della politica sulla finanza. Occorre tassare le transazioni finanziarie,
lottare contro la corruzione e l'evasione fiscale e ridistribuire la ricchezza
per ridurre le disuguaglianze sociali.
5. Ripudiare la guerra, tagliare le spese militari.
La guerra è sempre un'inutile strage e va messa al bando come abbiamo fatto
con la schiavitù. Anche quando la chiamiamo con un altro nome è incapace di
risolvere i problemi che dice di voler risolvere e finisce per moltiplicarli.
Promuovere e difendere sistematicamente i diritti umani, investire sulla
prevenzione dei conflitti e sulla loro soluzione nonviolenta, promuovere il
disarmo, contrastare i traffici e il commercio delle armi, tagliare le spese
militari e riconvertire l'industria bellica è il miglior modo per aumentare la
nostra sicurezza.
6. Difendere i beni comuni e il pianeta.
Se non impariamo a difendere e gestire correttamente i beni comuni globali
di cui disponiamo, beni come l'aria, l'acqua, l'energia e la terra, non ci sarà
né pace né sicurezza per nessuno. Nessuno si deve più appropriare di questi
beni che devono essere tutelati e condivisi con tutti. Urgono istituzioni,
politiche nazionali e internazionali democratiche capaci di operare in tal
senso. Occorre ridurre la dipendenza dai fossili, introdurre nuove tecnologie
verdi e nuovi stili di vita non più basati sull'individualismo, la
mercificazione e il consumismo.
7. Promuovere il diritto a un'informazione libera e pluralista.
Un'informazione obiettiva, completa, imparziale, plurale che mette al
centro la vita delle persone e dei popoli è condizione indispensabile per la
libertà e la democrazia. Sollecita la partecipazione alla vita e alle scelte
della collettività; favorisce la comprensione dei fenomeni più complessi che
attraversano il nostro tempo, promuovere il dialogo e il confronto, costruisce
ponti fra le civiltà, avvicina culture diverse, diffonde e consolida la cultura
della pace e dei diritti umani.
8. Fare dell'Onu la casa comune dell'umanità.
Tutti nelle Nazioni Unite, le Nazioni Unite per tutti. Se vogliamo
costruire un argine al disordine internazionale, i governi devono accettare di
democratizzare e rafforzare le Nazioni Unite mettendo in comune le risorse e le
conoscenze per fronteggiare le grandi emergenze sociali e ambientali mondiali.
9. Investire sulla società civile e sullo sviluppo della democrazia
partecipativa.
Senza una società civile attiva e responsabile e lo sviluppo della
cooperazione tra la società civile e le istituzioni a tutti i livelli non sarà
possibile risolvere nessuno dei grandi problemi del nostro tempo. Rafforzare la
società civile responsabile e promuovere la democrazia partecipativa è uno dei
modi più concreti per superare la crisi della politica, della democrazia e
delle istituzioni.
10. Costruire società aperte e inclusive.
Il futuro non è nella chiusura in comunità sempre più piccole, isolate e
intolleranti che perseguono ciecamente i propri interessi ma nell'apertura
all'incontro con gli altri e nella costruzione di relazioni improntate ai
principi dell'uguaglianza e alla promozione del bene comune. Praticare il
rispetto e il dialogo tra le fedi e le culture arricchisce e accresce la
coesione delle nostre comunità. I rifugiati e i migranti sono persone e come tali
devono vedere riconosciuti e rispettati i diritti fondamentali.
Queste priorità devono essere portate avanti da ogni persona, a livello locale,
nazionale e globale, in Europa come nel Mediterraneo.
Per realizzarle abbiamo innanzitutto bisogno di agire insieme con una strategia
comune e la consapevolezza di avere un obiettivo comune.
Per realizzarle abbiamo bisogno di dare all'Italia un governo di pace e una
nuova politica, coerente in ogni ambito, e di investire con grande
determinazione sulla costruzione di un'Europa dei cittadini, federale e
democratica, aperta, solidale e nonviolenta e di una Comunità del Mediterraneo
che, raccogliendo la straordinaria domanda di libertà e di giustizia della
primavera araba, trasformi finalmente quest'area di grandi crisi e tensioni in
un mare di pace e benessere per tutti.
Assisi, Rocca Maggiore, 25 settembre 2011