Questa chiesa, costruita su un terreno dell'antica cascina Olivero, poi Villa San Paolo di proprietà della Compagnia dei Gesuiti, è stata sotto la loro guida fino al 31 luglio 1999, data in cui è passata alla diocesi.
Una grande croce dai bracci asimmetrici campeggia maestosa nel cortile accanto all'ingresso principale; alla fine di una breve scalinata, che porta alla bussola d'ingresso, il fedele viene accolto dalla statua del santo, a cui è intitolata la Chiesa, e dall'immagine della Vergine col Bambino su una tavola in legno con sfondo oro, d'ispirazione bizantina, come molte delle stampe appese lungo le pareti dell'aula delle celebrazioni.
L'ampia aula è arredata con due file centrali di panche e due file laterali di sedie. La luce entra dalle pareti longitudinali a nord e sud attraverso quattro serie di finestre a "elle", che incorniciano le grandi stampe di opere bizantine appese fra le stazioni della Via Crucis, segnate da quattordici semplici piccole croci in legno. Di notevole valore artistico è il grande ed antico quadro ovale con la Madonna che regge il Bambino, affiancata da due puttini che pregano adoranti il piccolo Gesù.
La zona presbiteriale è sopraelevata da due gradini in legno: sulla sinistra il fonte battesimale è composto da un parallelepipedo a sezione ottagonale, sormontato da un piatto dorato; dietro ci sono le sedute squadrate in legno per il coro e, incassato nella parete, il tabernacolo di grande effetto artistico: al centro una ciotola contenente il pane, corpo di Cristo, è circondata da una corona di spine, a sua volta inscritta in un quadrato dorato da cui si dipartono quattro raggi di luce.
Molto avanzato, rispetto alla mensa, è il pulpito in legno, anch'esso in legno massiccio come l'altare e la cattedra. Sulla parete di fondo giganteggia la scritta "Ho creduto, perciò ho parlato", seguita da un grande crocifisso, affiancato dalle stampe di due mosaici di Rupnik Marko, che rappresentano un rapporto dialogico tra l'iconografia della tradizione Orientale e la sensibilità artistica della modernità Occidentale. In esse il rosso e il blu "esplodono" come segni della "divino-umanità" del Cristo, di Maria, dei suoi discepoli e di quanti si lasciano muovere dallo Spirito: essi sono "fondamento incrollabile dell'armonia dei colori, i due colori in cui i cristiani del primo millennio riconoscevano il divino e l'umano".
A terminare la parete a ovest è l'ingresso alla piccola cappella feriale della Redenzione, progettata dall'architetto Giorgio Comoglio. Essa è un'ideale ellisse con due fuochi, ossia due altari, attorno a cui sono poste le sedie in legno, così che i fedeli preghino gli uni di fronte agli altri: non c'è più il "fondo" della chiesa, perché tutto è spazio sacro per un incontro comunitario col Signore.
Sulla parete a sud tre finestre con vetrate colorate illuminano l'ambiente; esse, opera dello stesso architetto, hanno rappresentazioni simboliche, quindi sono aperte a più interpretazioni: tra le tante possibili ne proponiamo due: una legata alla creazione e l'altra cristologica.
La linea continua color vinaccia che attraversa tutta la vetrata indica la vita e il suo scorrere. Nel primo quadro, il cerchio arancione indica il sole. Nel secondo quadro sono presenti sia i fiori che gli animali (farfalla). Nel terzo quadro, troviamo le varie razze, i vari popoli che abitano la terra (rombi di colori diversi), la stella che indica il cielo e gli astri.
Cristo è il sole che illumina il cammino di ogni uomo e dona luce ad ogni cosa. I due rombi dicono le due nature di Cristo (umana e divina).
Al centro del terzo quadro troviamo il pellicano che fin dai primi secoli è simbolo di Cristo che dona la sua vita per la salvezza degli uomini versando il suo sangue; infatti il pellicano quando non ha più cibo per sfamare i suoi piccoli, si taglia il petto e con il suo sangue li sfama. La stella è simbolo di Maria e della Chiesa. Infine nell'ultimo quadro viene descritto il fine della venuta di Cristo: fare di tutti noi una cosa sola in Lui: "essere uno in Cristo".
Sulla parete a nord è appesa l'icona del Crocifisso Risorto, sullo stile bizantino, quindi su fondo oro, che indica la luce della Resurrezione, esemplificata anche dallo sguardo aperto di Gesù e dalla pace che esprime il suo volto. Le stigmate sono evidenziate più per il loro significato che per la Passione stessa: infatti la corona di spine è omessa lasciando come segno di regalità la scritta in alto. I piedi, liberi dai chiodi, sembrano venire incontro a chi è posto in orazione davanti all'icona . Le braccia sono aperte, anche se le mani non sono più infisse, pronte ad accogliere ed abbracciare ogni umana sofferenza. Sugli spigoli del braccio orizzontale della croce sono rappresentati i quattro Evangelisti, mentre, in piedi, sull'asse verticale ci sono Maria e Giovanni, l'Apostolo prediletto.
Il tabernacolo è, come nella chiesa, incassato nel muro: un tondo in argento con al centro il calice e l'ostia. Più a sinistra è presente anche l'icona della Madonna della tenerezza, ripresa da A. Rublev, Vergine di Vladimir (databile dopo il 1410); la Vergine appoggia la guancia sul volto di Gesù Bambino con gli occhi velati di tristezza, poiché consapevole del tragico destino che attende suo figlio.
Da guardare con attenzione c'è ancora l'icona della Trasfigurazione, dall'originale del 1300-1400 di Teofane il Greco. Cristo benedicente, al centro e vestito di bianco, rappresenta la luce vera del mondo e tiene in mano il rotolo della Parola; i cerchi sovrapposti evocano un passaggio tra l'aldilà e la dimensione terrena. Anche lo spazio temporale risulta collegato: i tre Apostoli (il presente, il Nuovo Testamento), Mosè ed Elia (il passato, l'Antico Testamento) Le rocce sono come una scala da salire, l'ascesi. Le tre figure in basso sono sconvolte, fisicamente capovolte, simbolo della conversione necessaria per poter vedere, già nella vita terrena, il Regno di Dio. l'Icona della Trasfigurazione costituisce il programma contemplativo della vita cristiana: lo sforzo di vedere il mondo nella luce della fede, con gli occhi di Dio .