Oggi i torinesi, per un prezioso dono della famiglia Provana di Collegno, possono godere di gran parte del parco Rignon di corso Orbassano, facente corpo unico con la villa Amoretti.
L'edificio, prima semplice cascina, poi commenda e infine villa tra le più belle della pianura torinese, apparteneva alla famiglia Amoretti, da cui per eredità ai Guasco di Castelletto, quindi ai Rignon e, ancora per eredità, ai Provana di Collegno.
Gli Amoretti avranno modo di comparire ancora su queste pagine. Oggi estinti, non erano di nobiltà molto antica nè diedero alla storia grandi personaggi, ad eccezione di colui che fondò la fortuna della casa.
Si chiamava Giambattista Amoretti, un semplice prete, che dalla natìa Oneglia era venuto a Torino nella prima metà del seicento. Scaltro, buon diplomatico, con spiccato senso degli affari. Giambattista sseppe entrare nelle grazie del favorito di Corte Filippo d'Agliè e di conseguenza in quelle di Madama Reale e di Carlo Emanuele II. Divenne elemosiniere della Duchessa (1650), ebbe incarichi delicati, andò in Francia quattro volte in qualità di inviato segreto ducale. Fu ricompensato dei servizi resi con le ricche abbazie di N. D. d'Abondance e di Casanova e, ai privilegi di cui la Corte non fu parca, l'abate Amoretti aggiunse di suo commerci e traffici che lo portarono in breve ad accumulare un'ingente fortuna.
Pur generoso con l'Ospedale di San Giovanni Battista ed altre opere pie, alla sua morte (1686) l'abate Amoretti lasciò la famiglia, a cui era molto legato e che aveva fatto giungere dalla Liguria, in condizioni veramente floride.
Il fratello Antonio Maria, creato senatore, ereditò con titolo comitale i feudi raggranellati dall'abate: Envie, Olivastro, Castelvecchio, Costigliole, Borza e Borgo. E prima che il nipote Carlo Giacinto, secondogenito ed erede di Antonio Maria, raccogliesse il patrimonio familiare, Giambattista gli donò due commende: una in Moncalieri e l'altra detta Amoretta, sulla strada per Orbassano.
Esaminando le mappe del seicento, si vede al posto dell'Amoretta un edificio di piccole proporzioni. Ma quando l'abate Amoretti la eresse a commenda, la cascina dovette beneficiare di restauri e di ampliamenti terrieri, dal momento che era allora valutata a venticinquemila scudi. Tale la ereditò Carlo Giacinto, che dopo il 1706 provvide agli indispensabili restauri del dopoguerra.
Carlo Giacinto comperò nel 1722 (la data parla da sè) il feudo di Osasio con titolomarchionale: marchesi di Osasio si chiamarono i primogeniti della famiglia a cominciare dal maggiore dei suoi dodici figli, Giambattista (il secondogenito Eugenio ebbe titolo di conte di Envie ed è della sua famiglia che ci si occuperà a lungo a proposito di villa Cristina).
Poichè gli esperti vogliono che la villa Amoretti sia stata edificata al posto della commenda attorno al 1760, accontentandosi delle poche date fornite dal Manno (che offre comunquela genealogia più completa della famiglia), si potrà notare quanto segue: Giambattista di Osasio, primogenito come si è detto dei dodici figli di Carlo Giacinto (e di una Asinari di San Marzano), sposatosi nel 1733 con una Seyssel d'Aix, morì nel 1766: potrebbe dunque essere lui ad aver cominciato la nuova costruzione. Il suo primogenito Giuseppe non la tenne che per due anni: morì infatti in duello come lo sfidante (o sfidato) Carlo Corbetta, vercellese (1768).
L'eredità passò a suo fratello Giambattista, il marchese di Osasio di cui parla il Grossi, che venne in possesso anche del Colombaro in regione Vanchiglia e di parte del castello di Santa Cristina per eredità della moglie Carlotta Asinari di San Marzano. Fu dunque questo terzo Giambattista della famiglia che portò a termine la costruzione di villa Amoretti, ma disgraziatamente non ebbe figli a cui lasciarla. Dei fratelli minoriuno era sacerdote e suo erede fu perciò il più giovane, Carlo, ultimo marchese di Osasio, che, sposato ad una Guasco di Castelletto, ebbe una sola figlia, Teresa:essa morì nel 1807 lasciando ai Guasco di Castelletto anche il castello di Envie, che appartiene tuttora alla sua discendenza.
La villa era dunque costruita da una trentina d'anni quando la descrive il Grossi: "L'Amoretti villa, e cascine di cento giornate circa dell'Illustrissimo signor Marchese d'Osasio distante un miglio e mezzo da Torino lungo la strada d'Orbassano, alla cui destra riscontrasi un filare d'olmi a tre ordini dirimpetto al palazzo costituito al piano terreno d'un quadrato salone di trabucchi quattro di lato; dipinto ed aventedue grandi quadri rappresentanti diverse deità; lateralmente vi sono due appartamenti con Cappella prospicente verso il vestibolo a mezzogiorno, formando il detto palazzo da tal parte cinque padiglioni di diversa altezza, essendo però allineato dal canto di mezzanotte dove evvi un giardino di dieci giornatecon una lunga pergola d'olmi da una parte, principiante del palazzo, e terminante in fine del giardino; tramediante vi sono vari perterra adorni di molte piante d'agrumi, restante il rimanente giardino compito da un delizioso boschetto, ed in continuazione fuori del giardino evvi un altro filare d'olmi di lunghezza di mezzo miglio circa."
Quando la villa passò al conte Paolo Luigi Rignon (che possedeva anche la vicinissima cascina Martiniana, la Conti, il Losa, e il Lasè), continuò a beneficiare di somme cure, tanto che in questo termine ne parla la guida Pomba (1840): "....La villa Rignon detta l'Amoretti......è la più risguardevole delle ville private che si vedono nei dintorni di Torino in pianura. Ha un giardino regolare alla francese con una parte all'inglese, e con una magnifica raccolta di dalie. Il zoologo ammira con diletto in questa villa alcune capre africane singolari di forma e di colore, e un vago drappelletto di gazzelle. Queste graziose antilope...... figliarono in questa villa e i loro parti vi giunsero all'età di procreare, anzi già stava per nascere la seconda generazione, che sarebbe riuscita indigena, se un sinistro accidente non avesse spento la madre. La coltivazione dei campi e specialmente dei prati intorno all'Amoretti s'attrae l'attenzione de georgici per la singolare diligenza con che viene condotta".
Il Baruffi scriveva nel 1859 che l'Amoretti era una "vera villa principesca". E lo Chevalley nel 1912: "Oggidì sono scomparsi i parterres e il pergolato e il viale d'olmi a notte della villa e il delizioso boschetto si è ingrandito formando un ampio parco inglese. Il conte V. Rignon, attuale proprietario, demoliti alcuni anni or sono i fabbricati rustici, che s'addossavano alla villa, ingrandiva anche anteriormente il giardino, trasportandone l'ingresso in fregio allo stradale di Orbassano, e fabbricava la nuova portineria, le ampie scuderie e rimesse ed una vasta arancera semicircolare su disegni dell'ing. Chevalley".
Neppure i considerevoli danni dell'ultima guerra hanno potuto contro l'Amoretti: gli affreschi mai ritoccati mantengono vividi i loro colori e hanno felicemente superato il secondo secolo di vita.
Stralcio dal volume Cascine e ville della pianura torinese" di Elisa Gribaudi Rossi edito da Le Bouquiniste - Torino